Declinare al femminile la scelta intanto obbliga a mettere in questione l’immagine di un’adesione spontanea e irriflessa e tutta inscritta nel “naturale”, che ne offusca i caratteri forti di storicità, e restituisce all’adesione delle donne – Resistenza armata o Resistenza civile – un significato di libertà “implicito nel suo essere atto di disobbedienza” in quanto “disobbedienza a chi aveva la forza di farsi obbedire”. Il valore non secondario di questo tipo di approccio si estende alla riflessione sul confine tra Resistenza civile e Resistenza armata, tra i diversi livelli dell’uso della violenza, dal rifiuto delle armi, all’uso della violenza “necessaria”, alla violenza “gratuita”. La casistica che emerge da molte nuove testimonianze e da alcune storie di vita rende ragione dell’ipotesi di attribuzione ai gesti delle donne di un significato politico, oltre la spontaneità del bisogno di cura tipicamente femminile, oltre il confine della risposta ai bisogni elementari di padri, mariti, fratelli. Dunque permette di declinare non solo ma anche come scelta politica la loro partecipazione alla lotta partigiana, in più, all’interno di un confronto accettato con l’esperienza della violenza della guerra, guerra civile, ma che contiene anche le tracce di un’adesione – pur non sempre consapevole – ad un’etica della responsabilità. Su questo aspetto scontiamo molti silenzi, di cui Anna Rossi Doria coglie implicazioni e conseguenze, quando richiama l’attenzione sul
nesso forte ancora in gran parte da indagare tra il mancato riconoscimento sociale e politico del ruolo svolto dalle donne partigiane e dalle deportate alla fine della guerra e le generali debolezze e difficoltà…della costruzione della cittadinanza delle donne.
A questi oggi si corre il rischio di aggiungere altri silenzi, dettati da quell’uso politico della storia che in Italia da tempo sta condizionando il discorso pubblico sulla Resistenza.
Luciana Rocchi, “Donne e Resistenza nel Grossetano e nel Senese”, 2008
Di una massetana è […] il nome più celebrato della Resistenza in provincia di Grosseto: Norma Pratelli Parenti, seviziata e uccisa dai nazifascisti in circostanze ancora non del tutto chiarite, il 22 giugno 1944, medaglia d’oro al valore militare. La fotografia di Norma, che compare in tutte le pubblicazioni locali sulla Resistenza, mostra un sorriso luminoso e dolce, che non sembra accordarsi con l’immagine dell’eroina sofferente o della martire. Manca ancora uno studio accurato sulla vicenda di questa donna, sulla cui fine si è steso a lungo un silenzio, forse motivato dalla consapevolezza di quanto sarebbe stato difficile gestire nel dopoguerra le lacerazioni provocate da un’azione tanto brutale, cui non dovette essere estranea la responsabilità dei fascisti repubblicani locali. […] Ha prevalso, nei primi scritti che ricordano Norma, la retorica del sacrificio, l’immagine della giovane sposa e madre, come in una poesia anonima, datata giugno 1944, o in un opuscolo diffuso dall’UDI, il cui linguaggio è lo stesso della pubblicistica locale sugli episodi luttuosi di stragi ed eccidi (“fu avviata al suo doloroso calvario. Percossa ed ingiuriata, martoriata nel corpo e nell’anima”) e dunque appare fortemente connotato dal clima di una guerra ancora in corso, molto lontano da noi, dalla nostra sensibilità e dai nostri registri linguistici, ma non specchio deformante del clima del momento. Tutta la prima pubblicistica e le memorie più lontane da noi ricordano l’episodio della disobbedienza di Norma al divieto di dare sepoltura al corpo del partigiano Guido Radi, trascinato dai nazifascisti per le strade di Massa Marittima, con una descrizione che evoca più l’archetipo femminile della legge del cuore – il sacrificio di Antigone – che non un’appartenenza o una adesione pienamente consapevole alla lotta antifascista.
[…] più che una biografia, forse è possibile – e utile – fare una storia della memoria di Norma Parenti e di come è stata letta una Resistenza combattuta sul fronte della solidarietà, nella città dove ha avuto maggiore spazio di tutta la provincia la Resistenza militare, in coerenza con un forte impegno antifascista precoce. Sarebbe utile dare ragione del lungo oblio dei massetani, e confrontarlo con la retorica di quell’opuscolo UDI del 1944, che ne “santifica” il martirio.
Luciana Rocchi, “Voci, Silenzi, Immagini. Memoria e Storia delle donne grossetane”, 2004