Eccoci di nuovo qui a celebrare la Resistenza e la Liberazione, come in migliaia di altre piazze del nostro paese e nei luoghi che videro efferate stragi naziste e repubblichine o eroiche gesta Partigiane. Ci siamo con tanta gente, con i partiti e con le organizzazioni sociali e culturali; ci siamo con le istituzioni pubbliche che, al di là delle combinazioni politiche che le amministrano, incarnano lo spirito e i valori sanciti dalla Costituzione, nata dall’Antifascismo.
Per tutti gli italiani l’Antifascismo è un dovere, tanto più per chi è investito del mandato popolare. Signor ministro dell’Interno, Matteo Salvini, al di là del lessico sportivo, che dimostra ignoranza della storia ed è volutamente offensivo per la circostanza, il suo viaggio di oggi a Corleone non renderà più efficace la lotta alla mafia; lei fugge dalla celebrazione del 25 Aprile per strizzare l’occhio ai neofascisti italiani e europei, non soltanto per calcoli elettorali, ma per convinta collocazione politica. Il Presidente Fico le ha risposto a tono, prendendo le distanze dal suo atteggiamento inqualificabile. Stiamo ancora aspettando parole chiare da Conte; le dica se non vuole che quello che presiede si confermi come il governo più a destra della Repubblica!
Allo stesso modo, fare apologia del fascismo non è libera espressone del pensiero: è un reato perseguibile per legge. L’equidistanza, o la ricerca di una pacificazione impossibile, al di là delle intenzioni si trasforma sempre nel sostegno di fatto alla destra estrema.
Quello che si è visto ieri a Milano, con gli osanna al duce, è intollerabile, come lo sono altri episodi simili accaduti in questi giorni, a ridosso del 25 Aprile. Si è ormai superato il limite!
Per troppo tempo i neofascisti sono stati tollerati e addirittura vezzeggiati, mentre una certa politica li sta tuttora sdoganando. Pensano che tutto sia loro consentito, sentendosi ormai legittimati.
Invece, no: ora basta!
Ci rivolgiamo agli italiani, affinché si facciano sentire, e a tutte le Autorità perché facciano rispettare la legge, superando ogni bizantinismo degno di consumati azzeccagarbugli. Si agisca nel solco della legalità costituzionale, intrinsecamente antifascista.
Ma cosa vuol dire essere antifascisti oggi? Vuol dire fare propri la memoria e il messaggio della Resistenza, per diffonderli e declinare entrambi nel presente. Vuol dire lottare per la pace e per l’autodeterminazione dei popoli, cominciando da quelli palestinese e curdo. Vuol dire lottare per la dignità dell’essere umano. Vuol dire lottare per coniugare economia e ambiente. Vuol dire lottare per la piena occupazione e un reddito che permetta un’esistenza decorosa. Vuol dire lottare per la parità di genere, basandola sul riconoscimento della differenza dei sessi. Vuol dire lottare contro l’esclusione sociale e del diverso, per l’uguaglianza. Vuol dire lottare contro ogni razzismo.
Perché in giro ci sono troppi conflitti e altri si annunciano. Perché tornano vecchie schiavitù e se ne affacciano di nuove. Perché il riscaldamento del clima e altri inquinamenti minacciano la vita stessa sulla Terra. Perché la donna è oggetto di un attacco reazionario che vorrebbe ridurne la libertà. Perché le differenze e l’ingiustizia sociale aumentano e con esse aumenta la povertà. Perché il fenomeno epocale delle migrazioni non essendo governato con criteri di accoglienza e integrazione, volti a rimuovere gli squilibri che lo alimentano, sta diventando una tragedia umanitaria che rischia di minare alla redice la nostra democrazia.
Per questo l’Antifascismo è un valore attuale, tutt’altro che consegnato alla storia. Per questo l’Anpi è una entità viva e dinamica, impegnata fino al collo nella temperie dei nostri giorni. Chi ci dipinge come un’Associazione di reduci che hanno fatto il loro tempo, lo fa per eliminare un baluardo della nostra convivenza civile e per lasciare campo libero alla destra peggiore. Lo fa per recidere il filo rosso che unisce la Repubblica e la Costituzione alla Resistenza.
Sappiamo che il fascismo come lo abbiamo conosciuto è morto il 25 Aprile del 1945. Ma sappiamo pure come sia presente la possibilità di ricadute autoritarie che del fascismo conservano l’anima, limitando le libertà civili e democratiche. Nei paesi sviluppati l’uscita dalla democrazia può verificarsi per gradi: e il fatto che per alcuni studiosi l’Italia sarebbe già aggi retta da una “democratura”, cioè mezza democrazia e mezza dittatura, è da questo punto di vista allarmante.
Il mondo si sta spostando a destra, con paesi importanti che si consegnano a governi non democratici; in Europa e nel nostro paese assistiamo al decadimento della politica e al riemergere delle discriminazioni verso il più debole, specie se immigrato, e ad un incattivimento dei rapporti umani, di cui il femminicidio è la più disgustosa espressione, mentre parole orrende che credevano definitivamente scomparse dal nostro lessico tornano di uso corrente entrando nella normalità. La precarietà dilaga non esclusivamente nei rapporti di lavoro, diventando precarietà della vita di sempre più larghi strati sociali. Le ragazze e i ragazzi, senza più futuro, versano in una condizione intollerabile e nelle persone sale un risentimento profondo che, non trovando adeguate sponde politiche nelle forze progressiste, presta ascolto alla propaganda razzista, che dà la responsabilità di quanto succede al diverso da noi, indicandolo come nemico. Al punto che la saldatura tra il malessere sociale e il neofascismo è nel novero delle cose possibili: e se ciò accadesse, lo scenario di un nuovo dispotismo si materializzerebbe drammaticamente.
Ma un altro sbocco è possibile. Ce lo dicono le lotte in corso dei sindacati e dei lavoratori, per uno sviluppo migliore, libero dai condizionamenti di un liberismo senza freni e dal potere della grande finanza mondiale, come dall’austerità imposta all’Europa dalla Germania. Ce lo dicono le donne, che giustamente combattono il livore di Pillon e l’oscurantismo a loro e a nostro danno andato in scena recentemente a Verona. Ce lo dicono i giovani, che si propongono il salvamento ecologico del Pianeta. Ce lo dice la folla ritrovatisi l’altro giorno a Prato per dire agli squadristi di Forza Nuova che quella toscana non è aria per loro.
Se, come speriamo, tanta combattività fosse il segno di una situazione arrivata al punto di rottura, vorrebbe dire che siamo all’inizio di una fase nuova caratterizzata dalla reazione delle energie più sensibili e attive del paese. Il fatto che queste lotte siano nate e si stiano sviluppando al di fuori dei partiti dovrebbe far seriamente riflettere i rispettivi esponenti sulla necessità e sui modi di una loro rigenerazione per riconnetterli con la gente, perché la democrazia non vive senza forze politiche organizzate e autorevoli, che abbiano avuto l’umiltà e la forza di ascoltare questi movimenti, traendo da essi la linfa vitale della loro riforma e di quella della rappresentanza democratica.
Il nostro posto è tra chi lotta per i propri diritti e per una nuova società, vedendo in quelle persone i Partigiani del terzo millennio. L’Anpi ci sta a modo suo: non come un partito, ma come la Casa di tutti gli Antifascisti che si battono per difendere la Costituzione nata dalla Resistenza. Nei suoi precetti c’è la soluzione dei problemi che ci affliggono: sicché la Costituzione va finalmente applicata in ogni sua parte, opponendoci ai tentativi di svuotarla o stravolgerla. Cominciamo dalla XIIa disposizione finale che vieta la ricostituzione, “sotto qualsiasi forma”, del disciolto partito fascista, intanto sciogliendo Forza Nuova e Casa Pound che apertamente si dichiarano eredi e continuatori del fascismo. Per quello che dicono e fanno esse sono una vergogna per l’Italia, rappresentano una intollerabile provocazione da rimuovere al più presto.
l’Antifascismo si occupa di valori, se necessario richiamando la politica alle sue responsabilità, è la coscienza critica del paese, non è un attore del conflitto sociale e politico, che compete ai partiti. Ci impegnassimo nelle soluzioni politiche, replicheremmo nell’Antifascismo le divisioni che caratterizzano i rapporti tra i partiti e non rappresenteremmo più l’identità nazionale. Sarebbe un autogol, una sconfitta epocale che neppure i fascisti sono mai riusciti ad infliggerci. Perché la più larga unità Antifascista è la condizione per invertire la deriva destrorsa in atto. Ma l’unità, per definizione, si realizza tra diversi e tuttavia affini per quanto attiene le regole della democrazia. Non per caso ci rivolgiamo a tutte le forze e correnti di pensiero che dettero vita alla Resistenza, dalla sinistra, al moderatismo, alla stessa destra liberale, perché insieme formiamo uno schieramento plurale e fortemente coeso sui precetti della Costituzione e della coeva Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, facendone un soggetto attivo del dibattito pubblico, per iniettare valori positivi nel corpo sociale.
Adesso nel mirino non c’è una sola categoria sociale, i lavoratori, com’era a cavallo tra gli ultimi due secoli; c’è l’uomo in quanto tale. Per cui quella di un nuovo umanesimo è la più importante sfida dei nostri tempi, che non può essere affidata ad un solo pensiero, per quanto forte.
Su queste cose lo scorso 30 marzo l’Anpi grossetana ha celebrato gli Stati Generali dell’Antifascismo Maremmano, riscontrandone il successo, nonostante la scarsa attenzione dei media. Dobbiamo ora spendere bene quel risultato, rendendo più incisiva l’iniziativa. Il 26 maggio voteremo per l’Europa e per il rinnovo di 16 Amministrazioni comunali in provincia. Non diamo indicazioni di voto per alcuna delle liste in lizza; alle elettrici e agli elettori chiediamo un voto antifascista, per un’Europa dei popoli, della solidarietà e dell’accoglienza, finalmente emancipata dal potere di entità opache non legittimate democraticamente, e per Comuni che non subiscano la presenza ammorbante delle formazioni neofasciste. Poi ognuno declinerà elettoralmente il proprio antifascismo come vuole, votando per i candidati che riterrà più vicini alle proprie sensibilità politiche e culturali.
Sta qui il legame tra la Resistenza di ieri e quella di oggi. Perché la Resistenza continua in forme diverse. Muoiono i protagonisti, non le loro idealità e il loro lascito. Lo scorso 7 aprile, all’età di 93 anni, è scomparso Ameglio Machetti, un Partigiano che non mancava mai a questa celebrazione, un compagno, un maestro e un amico. Aveva appena 17 anni quando entrò nella Resistenza a Monticiano, per poi continuare l’impegno nell’Anpi di Grosseto dopo il suo trasferimento in Maremma. E’ giusto ricordarlo oggi, insieme agli altri Partigiani che purtroppo ci hanno lasciato; lo facciamo esclamando ancora una volta a gran voce: Viva la Resistenza! Viva l’Italia democratica e Antifascista! Viva il 25 Aprile! Viva i Partigiani!