INTRODUZIONE ALLO SPETTACOLO ARCI DEL 18.1.2019 di Beppe Corlito, Presidente sezione ANPI “Elvio Palazzoli” di Grosseto

Sono stato invitato dai compagni del Circolo Arci Khorakhanè come presidente della sezione ANPI di Grosseto ad avviare la discussione sullo spettacolo I mostri ci somigliano diretto da Chiara Migliorini e interpretato dalle ragazze e dai ragazzi della Lotus, associazione culturale di Piombino, rappresentato venerdì 18 gennaio 2019, sul tema del carcere e dell’abuso di potere.
Mi sono chiesto che cosa c’entrasse l’ANPI con questo tema. Questa è la mia prima ragione per essere qui. La nostra Associazione, che mantiene viva la memoria dei valori antifascisti della lotta partigiana, per statuto e per riconoscimento delle istituzioni, è garante della Carte Costituzionale, nata dalla Resistenza. Il costituzionalismo moderno nasce da due rivoluzioni borghesi, quella americana e quella francese. La presa della Bastiglia e la liberazione di coloro che vi erano rinchiusi senza processo per decisione del monarca assoluto, è l’evento simbolico, che sta alla nascita di tutti i valori costituzionali, cioè della difesa dei diritti del cittadino nei confronti del potere, il quale non è più assoluto proprio perché esiste il contrappeso della legge che protegge i diritti dei cittadini. Quindi, la nostra Costituzione contrasta i possibili abusi del potere.
In Italia la questione carceraria è antica quanto lo stato italiano dall’unità attraverso quello liberale e successivamente della dittatura fascista fino a quello repubblicano con una tragica continuità delle varie forme di governo. Non è mai stata risolta. Il sovraffollamento delle carceri “giustifica” tutti gli abusi e le violenze che vi avvengono, ma non risponde solo all’insufficienza edilizia, per quanto gli istituti carcerari italiani nella maggior parte dei casi sono in condizioni terribili. Alla base del sistema carcerario italiano, ben oltre le dichiarazioni retoriche, sta un’idea della pena come punizione e non come riabilitazione, quale dovrebbe essere in un paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria, il quale dell’idea illuministica del valore riabilitativo della pena è stato un pioniere. Proprio in Toscana sulla base delle sue concezioni il Granduca Pietro Leopoldo, primo in tutto il mondo abolì la pena di morte (30 novembre 1786). Ma proprio in questa regione è appena accaduto ad Empoli che una persona fermata è stata ammanettata e legata con le fascette ai piedi per “evitare che scalciasse” – è stato detto. Durante questo trattamento è morto “per un malore”, ora vedremo quale spiegazione ufficiale verrà data. Occorre dire con chiarezza che la limitazione della libertà personale con strumenti di contenzione meccanica è così disumana, che è costantemente a rischio di provocare la morte di chi vi è sottoposto, perché la libertà è intrinseca alla costituzione biologica degli umani prima di essere un valore morale, sociale e giuridico.
Il carcere è sempre esistito, ma solo in epoca moderna ha assunto quel senso di universo concentrazionario che ne fa una delle istituzioni della modernità, che poi ha prodotto i campi di concentramento nell’epoca coloniale degli imperialismi, dalle riserve indiane fino al suo perfezionamento industriale – con tanto di catena di montaggio – dei campi di sterminio nazisti e fascisti. Queste istituzioni moderne, dal carcere al manicomio, dal collegio alle case di riposo e agli ospedali almeno per alcuni aspetti, rispondono alla necessità di uno stretto controllo della forza lavoro all’interno di un’organizzazione industriale di tipo capitalistico, che ha bisogno di poterci contare quotidianamente. Esse sono state scientificamente studiate da Goffman e da Foucault e definite “istituzioni totali”, definizione che allude all’universo concentrazionario totalizzante, rigidamente amministrato, che esse rappresentano. Tutto quanto accade nell’istituzione totale è sotto un controllo centralizzato compresa l’entrata e l’uscita, che dipende dall’autorità preposta. Questa è la seconda ragione per cui sono qui questa sera: faccio lo psichiatra da 43 anni ed ho contribuito alla chiusura di due manicomi (Arezzo e Siena); quindi nella mia carriera professionale ho combattuto le istituzioni totali. In tutti questi anni non ho mai legato nessuno ad un letto, non ho mai ordinato o avallato una contenzione fisica, anche se ho subito alcune “imboscate” in tal senso. Quando nel 1998 sono arrivato a dirigere il servizio di salute mentale di Grosseto, nel cui reparto ospedaliero si praticava la contenzione, ho suggerito ai miei colleghi prima di ordinare qualsiasi contenzione di provare a farsi legare ad un letto per un po’ di tempo perché si facessero un’idea diretta di cosa si prova. In un lungo processo durato fino al 2005 è stato azzerato il ricorso alla contenzione e aperta la porta del reparto, uno dei 19 Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura italiani di qualità, in cui si applicano le procedure del no restinct e dell’open door. Quindi parlo con cognizione di causa. In primo luogo occorre partire da noi stessi e sconfiggere il piccolo Hitler che ciascuno di noi ospita dentro di sé. Di ciò ci hanno parlato con grande energia e bravura queste ragazze e ragazzi per tutto lo spettacolo di questa sera, è questo il senso fin dal titolo, I mostri ci somigliano.
In proposito vi racconterò brevemente l’esperimento dello psicologo sociale Stanley Milgram. Nel 1961, dopo il processo di Gerusalemme, dove Eichmann si presentò come un buon padre di famiglia che aveva contribuito a gasare decine di migliaia di persone perché gli era stato ordinato dai superiori, voleva dimostrare come i criminali di guerra nazisti potevano sterminare migliaia di esseri umani “diversi” (non solo ebrei, ma anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, comunisti, socialdemocratici, sindacalisti, oppositori politici, malati di mente, handicappati), giustificandosi con l’obbedienza agli ordini, perché si erano formati in una società autoritaria come quella prussiana e tedesca. Egli dovette fermare i propri esperimenti perché comuni cittadini statunitensi, normali, reclutati volontariamente, obbedirono all’uomo in camice bianco, che li aveva reclutati, per dare scariche elettriche sempre più forti a persone inermi tutte le volte che sbagliavano nel fornire una risposta. Anzi, essi somministravano scariche più forti (fino a 400 volt) se, pur sentendo le urla delle loro cavie umane, non li vedevano direttamente. Questo si chiama nel linguaggio di chi si è battuto contro le istituzioni totali, “repressione a mezzo delega”: è più facile legare una persona ad un letto se l’operazione viene delegata al personale infermieristico, invece di eseguirla direttamente con le proprie mani. Tali esperimenti sono stati la base delle procedure di consenso informato, perché alla base del lavoro di Milgram c’era un inganno: gli “aguzzini” volontari comandati dall’uomo in camice bianco non sapevano che “le cavie” erano degli attori che fingevano.
Se si fanno saltare alcune regole sociali, basate sull’empatia umana, che si può pervertire come fece propaganda nazista e fascista, allora si sdogana il piccolo Hitler dentro di noi, si sdogana il razzismo, la discriminazione, l’autoritarismo con le conseguenze note del fascismo e del nazismo. Non voglio “buttarla in politica”, ma è quanto sta succedendo oggi nel nostro paese. Il ministro di polizia, che usurpa una divisa che non è la sua e non gli spetta usarla, è una personalità autoritaria nel senso di Theodor Adorno, ha una testa “fatta a scatole”: i Rom devono stare nei campi e se “rompono” ci sono le ruspe, i migranti vanno rinchiusi nei campi di concentramento, dove entrano e escono a secondo dei suoi voleri, i malati mente devono tornare in manicomio, le prostitute nelle case chiuse eccetera.
Vi lascio con un testo poetico, di cui si conoscono varie versioni, una è stata attribuita erroneamente è Berthold Brecht, il famoso drammaturgo comunista. In realtà sono state tratte da un sermone del pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller. Dopo un sermone antinazista, Niemöller fu arrestato su ordine di Hitler e rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau. Riuscì a sopravvivere e passò gli anni Quaranta e Cinquanta a predicare a favore della pace e contro le discriminazioni, pronunciando più volte questo discorso diventato celebre. Non esiste una versione scritta e definitiva, per questo nel tempo il testo è stato rimaneggiato più volte cambiando le persone discriminate e il loro ordine. Una versione è inscritta nel Monumento all’Olocausto a Boston, in Massachusetts, e cita comunisti, ebrei, sindacalisti e cattolici.
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».
Voglio sperare che questo non ci accada un’altra volta, occorre lottare perché non ci accada.

Giornata della memoria 2019* La memoria della Shoah a quasi 20 anni dall’istituzione della Giornata della memoria

Giornata della memoria 2019*

La memoria della Shoah a quasi 20 anni dall’istituzione della Giornata della memoria

e presentazione del volume

La famiglia F.

Incontro con Anna Foa

Sala conferenze di ClarisseArte, 18 gennaio 2019

Quest’anno per la Giornata della Memoria si è scelto di condividere con la cittadinanza – e soprattutto con gli insegnanti – un percorso di riflessione su “La memoria della Shoah a quasi 20 anni dall’istituzione della Giornata della memoria”, incontrando la storica Anna Foa (Università La Sapienza di Roma), che proprio su questo tema sarà presente su RadioRai3 tutte le domeniche di gennaio con il programma “Sottratti all’oblio. Le parole che salvano”. Il 18 gennaio, alle ore 16, nella sala conferenze di Clarisse Arte (Via Vinzaglio 27), introdotta da Luciana Rocchi (Comitato scientifico Isgrec), Anna Foa si interrogherà sul rapporto tra storia e memoria, sul ruolo dello storico dinanzi al testimone, su cosa è cambiato in questi anni nel modo di ricordare la Shoah e su cosa sarà la memoria dello sterminio degli ebrei quando scompariranno le testimonianze dirette dei sopravvissuti, quando cioè finirà “l’era del testimone”, per usare la felice espressione della studiosa Annette Wieviorka. Il tema non è di poco conto e ha forti ripercussioni nella didattica della storia in un’epoca in cui la rimozione o la negazione delle tragedie del Novecento sembrano essere diventati un triste, tristissimo ritornello.

A seguire sarà presentato il libro di Anna Foa “La famiglia F.” (Laterza 2018), la storia appassionata di una famiglia antifascista, il cui impegno civile si è fortemente intrecciato con la vita culturale e politica italiana, “una storia familiare e autobiografica” – si legge nel risvolto di copertina – “aperta a tutte quelle remissioni della memoria e a quelle percezioni personali che la rendono dichiaratamente parziale e non definitiva. Un esperimento storiografico nuovo e condotto ‘sul vivo’ per riscoprire le passioni del Novecento”. Presenta il libro e ne discute con l’autrice Donatella Borghesi (Libreria delle ragazze).

L’iniziativa del 18 gennaio nasce dalla collaborazione tra Isgrec e Libreria delle ragazze.

Come ogni anno, inoltre, l’Istituto storico grossetano mette a disposizione della scuola strumenti didattici sui temi attinenti la Giornata della memoria. Su richiesta di insegnanti e dirigenti organizza incontri con gli studenti, come quello che si terrà la mattina del 26 gennaio nell’Aula Magna dell’ISIS Leopoldo II di Lorena sul tema della deportazione razziale e in particolare della deportazione dal territorio grossetano. In più, nelle mattine dal 28 gennaio al 1 febbraio sarà possibile effettuare su prenotazione visite guidate per le classi alle pietre d’inciampo in piazza del Duomo, posate nel 2017 in memoria di 3 deportati politici grossetani.

*Agli insegnanti che parteciperanno all’iniziativa del 18 gennaio saranno certificate le ore di formazione

Info: Isgrec, Cittadella dello Studente, tel/fax 0564415219, segreteria@isgrec.it, http://www.isgrec.it.

Libreria delle ragazze, via Pergolesi 3, tel 056420601, raccontincontri@yahoo.it

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