Discorso tenuto da Daniela Castiglione a nome dell’ANPI durante la commemorazione avvenuta a Marina di Grosseto lo scorso 25 aprile

Sono grata di essere qui, tra voi, in rappresentanza dell’ANPI per testimoniare quanto la Resistenza rappresenti per tutti noi un punto di riferimento irrinunciabile nella vita democratica del nostro Paese: è in questa pagina fondamentale della nostra storia che ogni cittadino può infatti ritrovare le radici della Repubblica e della Carta costituzionale.

Oggi, nel settantatreesimo anniversario della Liberazione d’Italia dal Nazifascismo, siamo qui a commemorare anche le vittime della strage della vicina località di San Leopoldo. Nel giugno del 1944 persero la vita sei civili inermi: Luigi Botarelli, Livio Botarelli, Fortunato Falzini, Giancarlo Lari, Olga Lari e Roma Madioni. La storia della strage di San Leopoldo ha ancora degli aspetti misteriosi, è tuttavia acclarato che in quel giorno i militari tedeschi avevano il compito di far saltare il ponte sulla fiumara di San Leopoldo. Ed è acclarato che alcuni fascisti dissero loro che al casello idraulico, lì vicino, erano presenti anche partigiani e giovani renitenti alla leva. Questi sono quindi i presupposti incontrovertibili che portarono infine a quella strage.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di benvenuto alle Associazioni partigiane pronunciato ieri al Quirinale, ha voluto ricordare come la Memoria e la Resistenza facciano parte della nostra storia comune, di popolo. Come la Resistenza sia nata spontaneamente nelle città, nelle periferie, nelle campagne e sulle montagne, cogliendo il grandissimo bisogno di pace, di giustizia e di libertà. Ridando infine piena dignità alla nostra Nazione. Una dignità che oggi, come Associazione Nazionale Partigiani D’Italia, e semplici cittadine e cittadini, siamo chiamati a rivendicare con forza, con dedizione e costanza, attraverso l’impegno a mantenere viva la memoria degli eventi trasmettendo i valori della Resistenza e della liberazione del Paese dall’oppressione.
Il sindaco della nostra città appena pochi giorni fa, dichiarandosi in premessa contro ogni guerra ed ogni violenza, ebbe a dire che l’Anpi “antepone la necessità di giustificare la propria esistenza piuttosto che tentare una strada di superamento dei conflitti, creando morti di serie A e morti di serie B”.
Dopo queste parole è bene, anzi, è doveroso ricordare al sindaco ed all’intera giunta comunale di Grosseto chi abbia dato avvio a quelle gurerre ed a quelle violenze. Chi, all’indomani dell’armistizio che ne aveva segnato le colpe e le responsabilità, ha invece voluto, con pervicace sprezzo della vita degli italiani, continuare a spargere il sangue di tante donne e di tanti giovani, con il solo scopo di proteggere se stessi coprendo e sostenendo le nefandezze dei feroci occupanti nazisti.
I nostri amministratori sono chiamati a rappresentare l’intera comunità e non una piccola parte di essa. Come si può dimenticare l’oltraggio compiuto da Giorgio Almirante, dirigente della cosiddetta Repubblica Sociale ed entità fantoccio e collaborazionista del regime di Adolf Hitler, che proprio per la zona di Grosseto firmò l’ultimatum di resa o di morte verso chi non intendeva assecondare i nazifascisti? Come si può non collegare moralmente le responsabilità delle tante stragi perpetrate nelle settimane e nei mesi successivi ai danni delle donne, degli uomini e persino dei bambini nella nostra Maremma?
Ecco il punto.
Per tutte queste domande aspettiamo che una attenta lettura della storia possa far maturare un sano sussulto nelle coscienze dei nostri concittadini, fino a coinvolgere anche chi è chiamato istituzionalmente a rappresentarli.
E’ quantomai indispensabile rivedere una scelta di parte che non sta né nei modi e neanche nei nomi. Non è possibile soggiacere all’imposizione di una sedicente pacificazione che sembra voler invece aprire il varco ad una riscrittura maggiormente benevola nei confronti di chi è stato complice e connivente con un regime violento, repressivo e convintamente illiberale ed antidemocratico.
Oggi, così come avvenne attraverso l’appello allo sciopero generale pronunciato da Sandro Pertini 73 anni fa, tutti noi siamo attivamente chiamati a Resistere all’occupazione perpetrata ai danni della memoria e della verità storica.
Qui, insieme, occorre ripartire e ricostruire anche grazie all’impegno delle giovani generazioni. Viva il 25 aprile, viva la Resistenza, viva la Liberazione dal Nazifascismo!

In allegato ed a parziale modifica di quanto pubblicato su “La Nazione” di stamani, si trasmette la nota del Presidente Provinciale dell’ ANPI Flavio Agresti, della quale si chiede la pubblicazione sul Vs/quotidiano. Ringraziamo per la collaborazione e porgiamo cordiali saluti.

 

 

Ringrazio il Sindaco Vivarelli Colonna per la stima e il rispetto espressi nei miei confronti, che sinceramente ricambio. Ma proprio per questo ho provato non poco stupore leggendo le sue dichiarazioni rilasciate a La Nazione del 26 aprile scorso. Al punto di pensare che alcune di esse fossero da attribuire alla fertile fantasia di un cronista troppo “creativo”. Ma non ho visto smentite. Sono state dette cose non vere e pronunciate parole troppo forti all’indirizzo dei suoi contestatori durante la cerimonia del 25 Aprile, che mal si addicono a chi ama definirsi “uomo di pace”.
Anche se avessi voluto, non avrei potuto scusarmi con il Sindaco per la contestazione subita alla Rimembranza, dato che ci siamo salutati prima del fatto e non più sentiti; mentre per quanto riguarda l’invito che gli avrei rivolto di salire sul palco, da lui declinato perché “troppo tardi” intervenuto, lasciando così intendere un pentimento da parte nostra per averlo escluso dagli oratori nel comizio in piazza, rimando al documento diffuso dall’Anpi provinciale il 14 aprile, tuttora valido.
Per ciò che ha fatto, con le note conseguenze anche nella provincia di Grosseto, e per quello che evoca, Almirante una vivace contestazione se la meritava; chi addirittura gli ha dedicato una via cittadina doveva metterla nel conto. Capisco che essa, per quanto circoscritta, faccia male a chi la riceve. Per questo il Sindaco ha la mia comprensione umana. Ma anche certe manifestazioni del dissenso fanno parte della democrazia, sono un diritto riconosciuto. Quando si prendono decisioni che dividono, accendendo grandi passioni e sensibilità bisogna essere preparati alle conseguenze e reagire sempre serenamente, se convinti della bontà dell’iniziativa presa.
Non è stata l’Anpi a contestare, per cui non so di cosa avrei dovuto scusarmi. Non lo avrebbe mai fatto in quel modo, tantomeno in quel luogo, che chiama al raccoglimento e al massimo rispetto dei Caduti in guerra, alla presenza delle massime Autorità istituzionali, cominciando dalla prefetta. Sono stati lanciati slogan datati ed anch’essi molto forti che, se scaricano la tensione, isolano dall’opinione pubblica invece di suscitare quel consenso di cui tutti abbisogniamo in questo difficile passaggio che il Paese sta vivendo. Ma da qui a dire che i contestatori bramano “sangue e guerra” ce ne corre. Vediamola dal lato migliore: pur con i suoi eccessi, si è trattato di una dimostrazione di sensibilità politica, in sé positiva, poiché esprime un bisogno di impegno civile, tanto raro in questi tempi segnati dal particolarismo e dall’egoismo.
Con il Sindaco, io e il rappresentante dell’Anpi nazionale, abbiamo posato corone e marciato fianco a fianco nel lungo corteo, pieno di grossetani, da parte nostra vedendo in lui la città, non una parte politica, in quella celebrazione istituzionale. Abbiamo concordato di vederci a breve, per dirci a quattr’occhi e fuori dai denti le nostre rispettive ragioni, anche per individuare la base di una rinnovata collaborazione. Chiederò una indispensabile riconsiderazione delle decisioni prese in Consiglio comunale relativamente alla concessione degli spazi e delle risorse pubbliche e alla toponomastica. Spero in esisti positivi, perché continuo ad essere convinto che si possa essere politicamente di destra e Antifascisti, se quella a cui ci si richiama è una destra liberale, con i piedi, il cuore e la testa nella Costituzione Repubblicana e Antifascista. E che non si possa essere “agnostici” sulla più grande tragedia del Novecento. I cui germi sono purtroppo ancora all’opera.

Flavio Agresti, Presidente provinciale ANPI.

 

Grosseto, 27 aprile 2018.

INTERVENTO DI MARCELLO GIUNTINI, SINDACO DI MASSA MARITTIMA IL 25 APRILE A GROSSETO

31290694_981606905344132_9184784067040913036_nCarissimi,
voglio innanzitutto ringraziare il Comitato Provinciale ANPI NORMA PARENTI per avermi invitato a tenere l’intervento di apertura di questa manifestazione e voglio ringraziare tutti voi qui presenti in questa giornata di festa, di ricordo e di impegno.
Perché il 25 Aprile è questo: è festa, è ricordo, è impegno. E’ lo sventolio delle bandiere, è la memoria dei martiri ed è soprattutto la perseveranza nel mantenimento dei valori della Libertà, della Democrazia, della Repubblica.
Ed è per questo che sono qui oggi, per un impegno. Ogni anno in questa piazza è il sindaco del capoluogo a tenere il suo intervento. Quest’anno a causa di una improvvida deliberazione del consiglio comunale, si è consumata una grave frattura fra l’ANPI e il sindaco di Grosseto; tanto più grave perché si è consumata a pochi giorni dalla festa della liberazione nazionale, quasi fosse, e quasi certamente lo è, una pantomima creata a sommo studio per gettare ombre su questa giornata, per rendere meno felice la FESTA DELLA LIBERAZIONE.
La prima sensazione che ho provato quando il presidente Agresti mi ha chiamato, proponendomi di parlare qui oggi è stata quella di stupore: ogni anno, come fanno i sindaci nella stragrande maggioranza delle città italiane, anche io celebro il 25 Aprile insieme ai miei concittadini. E’ una ricorrenza a cui teniamo, che cerchiamo di onorare con solennità e partecipazione. Pensare di non stare insieme alla comunità che rappresento mi ha messo all’inizio un po’ a disagio. Mi sono chiesto: perché avrei dovuto parlare io ad una comunità che non è la mia, che non mi ha eletto, che non mi ha scelto quale suo rappresentante?
Poi ho pensato che il Comitato provinciale dell’ANPI è intitolato a NORMA PARENTI, una mia concittadina, una martire della resistenza, una medaglia d’oro al valor militare. Ho pensato che il gonfalone della mia città è insignito della medaglia d’argento, che il labaro dell’ANPI di Massa Marittima che custodiamo nella sala della giunta comunale è pieno di medaglie alla memoria dei caduti ed ho pensato che l’ANPI provinciale, giustamente, non aveva chiamato me a portare una testimonianza: aveva chiamato loro, NORMA PARENTI, ELVEZIO CERBONI, OTELLO GATTOLI, ENRICO FILIPPI, I MARTIRI DI NICCIOLETA, IL SOLDATO IVAN che veniva dalla RUSSIA e il tenente GALLISTRU che veniva dalla Sardegna e con loro i morti di MAIANO LAVACCHIO e tutti gli altri che hanno lasciato la vita sul suolo grossetano, tutti quelli il cui nome è scritto sul pannello nell’atrio del palazzo della provincia: ha chiamato tutti loro a portare una testimonianza tramite me e a quel punto non mi sono potuto tirare indietro.
Non ho intenti politici o ideologici, non sono venuto a parlare da uomo di parte bensì da uomo delle istituzioni: la frattura e la forzatura che si sono consumate nel consiglio comunale di Grosseto sono fatti gravi che non riguardano solo il capoluogo ma tutta la realtà provinciale e forse anche oltre, se si pensa alla rilevanza che la notizia ha avuto sul piano nazionale. Ma è sulle nostre spalle che la vicenda dell’intitolazione di una via a Giorgio Almirante pesa di più. Tutti in Maremma ricordiamo il manifesto del 17 Maggio 1944 firmato da Almirante in qualità di capo di gabinetto del ministro Mezzasoma in cui si ribadiva la pena di morte per coloro che non si fossero arruolati nelle file dell’esercito repubblichino. E tutti noi sappiamo che quel bando ha dato l’avvio e la giustificazione alle uccisioni e alle stragi nella nostra provincia. Quei morti, i loro familiari, gli amici, le comunità che hanno avuto quei lutti chiedono rispetto, l’intitolazione di una strada a Giorgio Almirante è una provocazione che questa terra di Maremma non merita e non può accettare.
Non voglio addentrarmi a commentare l’immagine plastica di Via Almirante e Via Berlinguer che confluiscono da lati opposti in Piazza della Pacificazione nazionale, mi sembra, però che chi compiere oggi a 73 anni dalla liberazione sia un disescogita scenari del genere abbia perduto il senso del ridicolo. E non parlerò neppure della differenza di statura morale e politica tra due persone così maldestramente accomunate.
Permettetemi, però, una riflessione sulla cosiddetta “Pacificazione Nazionale”: ritengo che parlarne come di un gesto daconoscimento della storia o, peggio ancora, una mistificazione. C’è già stata una pacificazione nazionale, quella vera, avvenuta in tempi non sospetti; un atto di generosità, un tributo pagato dai vincitori ai vinti. Come altro chiamare, altrimenti, l’amnistia che il governo provvisorio di Alcide de Gasperi, per mezzo del ministro Togliatti promulgò nel 1946 e che vide uscire dalle carceri una moltitudine di fascisti colpevoli di collaborazionismo e reati ancor più gravi? Per non parlare della clemenza che la neonata democrazia ebbe per tutti quei funzionari pubblici, magistrati, dirigenti statali che, pur di provata fede fascista, non vennero rimossi dai loro incarichi. Ricordava in questi giorni un caro amico, nel commentare queste vicende, che nella vicina Francia oltre 11.000 collaborazionisti furono passati per le armi senza troppi riguardi. Se in Italia ci fossimo comportati come in Francia a Giorgio Almirante non sarebbe stata data la possibilità di sedere in Parlamento e di farlo fin dalla prima legislatura. Cercare un’ulteriore pacificazione non è allora altro che becero giustificazionismo.
E’ su l’idea posticcia che oggi ci sia bisogno di una ulteriore pacificazione nazionale che si basa l’attacco “ a posteriori” che il sindaco di Grosseto rivolge all’ANPI accusata di illiberalità, odio, rancore e intolleranza e chissà quante altre malefatte (ideologia bigotta e ammuffita). Quelle parole e quei toni non si addicono al massimo rappresentante di una comunità che invece dovrebbe sempre usare un registro alto per confrontarsi con i suoi cittadini, giacché cittadini sono e non sudditi. Ma quello che più spiace e non fa onore al capo dell’amministrazione è quando riduce questi temi allo stesso livello delle “buche da riparare”. Perché è vero che svolgere al meglio il nostro compito di amministratori passa per impegni reali ed operativi, progettare e seguire i lavori pubblici, pianificare la città e lo sviluppo, fornire servizi a misura del cittadino, patrocinare la propria comunità nei confronti delle realtà esterne; ma ci siamo assunti un altro compito e lo abbiamo fatto nel momento stesso dell’insediamento quando abbiamo giurato di osservare lealmente la Costituzione Italiana, altro che ideologia bigotta e ammuffita.
Ecco la vera chiave della pacificazione nazionale è questa: osservare lealmente la Costituzione Italiana, quest’anno ne ricorrono i 70 anni dall’entrata in vigore. Nei valori della Costituzione è la pacificazione nazionale, la costruzione della casa di tutti gli italiani. Il lavoro, la solidarietà politica, economica e sociale, la dignità sociale e l’eguaglianza, la libertà, lo sviluppo della persona umana, il progresso materiale e spirituale della società, la tutela delle minoranze, la libertà di culto e di espressione, lo sviluppo della cultura e la tutela del paesaggio, dell’ambiente e del patrimonio storico e artistico, la pace e la giustizia fra le nazioni. Altro che ideologia bigotta e ammuffita.
E vorrei concludere ricordandovi, se mai ce ne fosse bisogno, che ogni concessione al revisionismo storico, ogni allentamento della tensione democratica e antifascista, ogni invito ad una pacificazione posticcia è un insulto alla Costituzione, ai nostri martiri, ai valori più alti della Repubblica e della Democrazia, alla capacità di vivere in una società coesa e solidale e che ogni volta che diamo per scontata la libertà conquistata a così caro prezzo e accettiamo che altri, con il viso pulito ma con la coscienza sporca, facciano di tutta l’erba un fascio; ogni volta che viene messo sullo stesso piano l’aguzzino e il martire in nome di una non meglio identificata pacificazione nazionale; ogni volta che dimentichiamo che da oltre 70 anni, grazie a quei martiri, viviamo in pace e in libertà; noi tradiamo quel sacrificio.
VIVA IL XXV APRILE, VIVA LA COSTITUZIONE, VIVA L’ITALIA.

intervento unitario di Claudio Renzetti a nome di cgil cisl uil – 25 aprile 2018

Intervengo in rappresentanza di CGIL CISL e UIL

Nei 10 lunghissimi anni di crisi da cui ancora non siamo definitivamente usciti, in provincia di Grosseto sono state perdute 10.000 unità lavoro.

E al netto di pur significative eccezioni, il lavoro che è rimasto è complessivamente più povero, precario e con meno diritti.

Ma non c’è soltanto l’impoverimento di chi il lavoro lo ha perso definitivamente.

Quando le condizioni di lavoro peggiorano e la disoccupazione torna ad essere un fenomeno di massa. Quando lo spettro della povertà riduce l’accesso ai diritti e il precariato riconsegna i lavoratori all’arbitrio di imprenditori che troppo spesso provano a ri-comportarsi come i padroni negli anni 50,
tutto quello che il mondo del lavoro ha conquistato in decenni di lotte può andare perduto. E anche chi il lavoro l’ha mantenuto, si può trovare in una condizione peggiore. Di povertà relativa.

Ogni volta che pensiamo a tutti quei diritti che oggi consideriamo come naturali e normali ci deve accompagnare il ricordo, la memoria dell’asprezza del percorso compiuto per ottenerli.

E la crisi sta li a ricordarci che niente è irreversibile e per sempre.

Oggi assistiamo al trionfo degli egoismi: troppe persone si sono chiuse nei propri gusci e pensano solo a sé stesse, dilagano assurde paure culturali, si assiste al predominio dell’IO sul NOI.

Ma come se ne esce?

Per noi se ne esce con un’idea di Paese, di come si può difendere il lavoro buono che c’è e di come se ne crea di nuovo, contrattualizzato e con qualche diritto in più, in grado di riportare un maggior benessere diffuso che siamo certi contribuirebbe anche a ricacciare nelle fogne quei rigurgiti fascisti che si sono riaffacciati anche nel nostro territorio.
Se ne esce abbandonando l’IO e riscoprendo il NOI: quell’agire collettivo che ha consentito alle persone comuni come noi delle generazioni precedenti di lasciarci in dote quel sistema universale di diritti che oggi la nostra generazione rischia di dilapidare.

Se ne esce mettendo al centro il territorio e le persone che lo abitano. La collaborazione tra soggetti istituzionali, quella tra settore pubblico e privato.

Se ne esce battendoci tutti per un clima di coesione sociale, impegnandoci ogni giorno in comportamenti più adeguati a tenere unite le nostre comunità.

Se ne esce ripartendo dai simboli che uniscono. Rivitalizzando in chiave odierna la memoria di quello che è stato il nostro passato, per non ripetere gli stessi errori: ricordare per non dimenticare.

Ho provato a tracciare un perimetro ampio e confederale della nostra idea di società moderna e solidale.
In modo autonomo dai partiti, non ideologico e basandoci sul merito delle singole questioni. Cose di buon senso, crediamo normali.

Che auspicheremmo semplicemente tornassero ad esser patrimonio diffuso ed ampiamente condiviso.

Da questo punto di vista non abbiamo la minima intenzione di imporre o far cambiare idea a nessuno rispetto ai propri convincimenti, nemmeno sulla figura di Giorgio Almirante.

Per me, ad esempio, rimarrà un soggetto corresponsabile dell’uccisione di ragazzi inermi.

Per me, ogni volta che il 13 giugno mi reco a Niccioleta – ma anche il 22 marzo a Maiano Lavacchio – Almirante è il primo nome a venirmi in mente pensando ai responsabili di quelle orribili stragi.

Per me – che da militare ad Udine presi 24 ore di permesso per andare a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer, piangendo per la prima volta nella mia vita come una “vite tagliata” – il solo fatto che Berlinguer possa essere in qualche modo accostato ad Almirante rappresenta un insulto intollerabile, peggio di uno sputo.

Per me, pensare al sindaco pro tempore della mia città che vorrebbe «passare alla storia» per aver dedicato una via ad Almirante, e che ha la scrivania accanto alla lavagna dove i due fratelli Matteini – appena massacrati di botte e insultati da parte di grossetanissimi fascisti – scrissero uno struggente e disperato saluto alla madre prima d’esser trucidati, tutto questo è inaccettabile. E sento salire un moto di rabbia e indignazione.

Per me Almirante e questa “piccola storia ignobile” che sono costretto a raccontarvi rappresenta un affronto insopportabile.

Per altri invece Almirante è stato un grande statista, e non ho pretese di provare a convincerli del contrario.

Per altri ancora tutti questi ragionamenti sono orpelli inutili del passato ai quali rimangono indifferenti; e non so se considerare peggiori i primi o i secondi.

Il revisionismo non è mai stato credibile ma è pericoloso, perché non ha bisogno di essere suffragato dai fatti. Per questo credo che il contesto sociale odierno ci imponga di essere particolarmente vigili per impedire lo stravolgimento della storia:

ci sono lutti e dolori che per quanto passino gli anni rimarranno sempre troppo recenti;

c’è un fuoco che cova sotto la cenere che va lasciato li dov’è e senza soffiarci sopra;
ci sono rabbie e risentimenti profondi che covano nella pancia del Paese, e chiunque ha un ruolo di rappresentanza deve comprenderlo e farsene carico in quota parte.

Il tema centrale, anche per Grosseto e chi la rappresenta credo che dovrebbe essere come si crea lavoro buono, come si difende quello buono che c’è. Come si combattono precarietà e illegalità. Come si fa ad avere meno morti sul lavoro, come si combattono le tante ingiustizie sociali.

Come si prova ad uscire da questa crisi con meno diseguaglianze sociali di quando ci siamo entrati, contrastando sperequazioni e disparità.

Per noi di CGIL CISL e UIL non è mai un problema di colore politico, e lo dimostriamo quotidianamente con i fatti: stando al merito delle questioni, valutandole in maniera non ideologica, proponendo ed agendo di conseguenza.

Crediamo che anche l’istituzione comunale del capoluogo dovrebbe fare altrettanto.

Sindaco, basta per favore con i giochi di parole:

riconosciti pubblicamente nei principi antifascisti della nostra Costituzione;
togli di mezzo questa intollerabile provocazione di via Almirante e concentriamoci insieme sul come possiamo fare a portare nella nostra comunità maggiore pace, benessere e prosperità.

Non occorre pensarla allo stesso modo su tutto, basta essere d’accordo sui fondamentali; e poi diciamocelo: la vera conciliazione nazionale la decisero i padri costituenti graziando gente come Almirante e dandogli l’opportunità di emanciparsi e di partecipare alla vita pubblica, in Francia avrebbe avuto ben altro destino.

E senza quei fondamentali in premessa, enunciazioni generiche sull’amore, la commozione e tutto il resto che oramai conosciamo a memoria, da una parte lasciano il tempo che trovano, dall’altra diventa difficile non catalogarli come mero tentativo di revisionismo.
Per trovare il giusto futuro dobbiamo non perdere la memoria del passato, e quelli che sono stati i suoi insegnamenti e i suoi valori. VIVA IL 25 APRILE!

Comizio a GROSSETO 25 APRILE 2018 del compagno Maderloni dell’ANPI nazionale

MaderloniComizio a GROSSETO 25 APRILE 2018

Analizzare la storia senza filtri ideologici, come scritto sulla mozione approvata dal Consiglio Comunale di Grosseto, sostituendosi al popolo italiano, allo Stato, alla Repubblica Italiana, alla Costituzione, non capiamo il senso e non ci trova per nulla concordi, anzi siamo profondamente contrari ed indignati, perché non c‘è nessuna pacificazione da realizzare; la vera pacificazione c’è stata il 25 aprile 1945, quando l’Italia è stata dichiara libera dal fascismo ed è stato cacciato l’esercito tedesco nazista.
Se l’amministrazione voleva intestare una Via al parlamentare Giorgio Almirante, poteva farlo, noi saremo stati ugualmente, profondamente e convintamente contrari; avremmo comunque protestato energicamente, avremmo certamente ricordato chi è stato, che cosa ha fatto, da che parte stava fino alla liberazione Giorgio Almirante, ma almeno la vostra amministrazione avrebbe reso evidente, chiara, palese la sua scelta di campo politico. Per capirsi: la vostra amministrazione avrebbe riconosciuto giusto intestare una via alla persona che nel maggio del 1944 ha firmato il “manifesto della morte” quel manifesto che riproduceva l’ultimatum di Mussolini ai militari sbandati e ai ribelli saliti in montagna di consegnarsi ai tedeschi pena la fucilazione. Quel manifesto portò ad una indiscriminata caccia all’uomo, a rastrellamenti feroci e a tanti morti.
Dovremmo chiederlo alla madri e ai padri dei tanti assassinati, come „Remo Bertoncini e Alberto Dani erano due ventenni: furono fucilati il 25 marzo del 1944 dopo essere stati sommariamente processati e condannati per essersi rifiutati di arruolarsi nella RSI, nell’esercito di Salò. Provenivano dalla provincia di Pisa, da Castelfranco di Sotto e da Santa Croce sull’Arno. “
Invece no, si è cercato di mescolare le carte, e di giocare quella della “pacificazione nazionale”
: trovo chi è stato fascista, trovo un antifascista amato dal popolo della sinistra da tanti democratici, ci metto in mezzo una piazzetta, che chiamerò “pacificazione nazionale” e così nessuno potrà dire che non siamo democratici; aggiungiamo che i morti sono tutti uguali, che davanti alla morte siamo tutti misericordiosi, siamo tutti pietosi, che le anime dei morti non si dividono, che dobbiamo chiudere una guerra civile, per poi arrivare a dire che il 25 aprile non è più il giorno della liberazione dal nazismo e dal fascismo, che questa repubblica nata dalla resistenza è superata, che finalmente abbiamo colmato le divisioni e possiamo leggere la storia senza filtri ideologici.
Siamo di fronte ad un errore grave, imperdonabile: equiparare chi ha lottato per la libertà di tutti con chi ha lottato al servizio dell’esercito tedesco no..
Essi hanno combattuto con motivazioni ben diverse; i morti sono morti, ma le ragioni per cui sono morti non sono uguali, e non ci potrà mai essere equiparazione fra chi ha negato la libertà al popolo e chi è MORTO PER DARCI la libertà.
E’ per questo che noi oggi siamo in questa piazza come in tutte le piazze d’Italia,
Il fascismo non è stato soltanto un regime; è stato anche un’ideologia. Come scritto da Umberto Eco, “gli aspetti salienti dell’ideologia fascista vanno individuati nell’esaltazione della tradizione; nell’anticomunismo;… nel populismo; nel nazionalismo e nell’imperialismo, giustificati da un preteso primato morale e civile, e persino dalla superiorità razziale di un popolo (di qui la xenofobia e l’antisemitismo); nel culto della forza e della violenza; nell’intolleranza fanatica; nell’ossessione del complotto e nell’invenzione di un nemico ‒ esterno o interno ‒ su cui scaricare le responsabilità di ogni insuccesso; nel maschilismo aggressivo, da cui derivano il disprezzo per le donne e l’omofobia”. Ieri e oggi.
Domanda: che c’entra Enrico Berlinguer?

Forse, forse L’intento era quello di non farci svolgere il 25 aprile come vogliamo e dobbiamo fare.
Da sempre esistono, nella società e nella politica, forze che cercano di svilire il significato del 25 aprile, di declassarlo a una festività ordinaria; cercano continuamente di togliere dalla testa degli italiani il significato vero di questa giornata.
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Se qualcuno vi dice che è stato facile fare la scelta di diventare antifascista, partigiano, gappista, staffetta, o semplicemente gregario, se qualcuno sostiene che è stato facile per quei militari che non accettarono di entrare nella repubblica di Salò (il rischio era di poter essere ammazzati, trucidati, come accaduto ai ragazzi a Cefalonia, o essere internati nei campi di lavoro in Germania – più di 650 mila soldati internati e ne tornarono meno di un terzo), bene se dicono che tutto questo è stato facile, non ci credete.
Fare quella scelta, essere antifascista e resistente, significava sacrifici, fame, umiliazioni, torture, morte, per se e per la propria famiglia.
Grazie a loro abbiamo una costituzione antifascista. Grazie a loro possiamo eleggere i nostri Sindaci altrimenti avremo i podestà nominati dal governo, dovrebbero ricordarselo certi sindaci costituzionalistici, che se possono svolgere quell’impegno è grazie a chi ha versato sangue e lacrime oltre che la propria vita.
Oggi è il 25 aprile una data, quella del 1945, che è stata uno spartiacque nella storia del nostro Paese, fra una vita fatta di sacrifici e ubbidienza, piena di violenza e di autoritarismo, e una vita realizzata in libertà.
Con l’insurrezione di Milano e di Torino, con la liberazione del nord dei giorni successivi, ebbe fine l’occupazione tedesca. Ebbe fine la dittatura fascista. E finalmente cessò la guerra.
La guerra è stata la piaga che ha infettato il nostro popolo, cancro prodotto dal regime fascista al nostro popolo.
Non pensiamo solo alla lotta di liberazione e a quel 25 luglio del 1943; la guerra e la militarizzazione è stata sulle spalle del nostro popolo da sempre, e in particolare dal 1935 in poi: ha segnata intere generazioni di ragazzi, portandoli a morire in molte parti del mondo, con il suo peso assurdo sull’economia cosi detta di “guerra” che il nostro popolo ha pagato duramente, con sacrifici enormi, con tanta fame.
Da troppo tempo si muore oggi in Siria, in Palestina, in Libia, in Egitto, in Iraq, nello Yemen, nella regione a maggioranza curda … il Medio Oriente ed il Mediterraneo si stanno trasformando in un immenso campo di battaglia. Ora il rischio della deflagrazione di un conflitto che coinvolga le super potenze mondiali è reale. Le conseguenze possono essere tragiche e inimmaginabili.

Milioni di persone, in tutto il mondo, di tutte le culture e religioni, stanno dicendo: “Basta guerre, basta morti, basta sofferenze”. E noi con loro.
Così inizia un documento approvato qualche giorno fa da un’associazione per la pace.
Ne do lettura perché la nostra associazione, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, condivide pienamente questo documento e chiede a tutti di impegnarsi affinché cessino le guerre nel mondo.
La nostra associazione è l’erede, in forma statutariamente riconosciuta, di tutti quei gruppi e formazioni che dal 1942-43 in avanti hanno costituito centro di riferimento collettivo di grandissima parte della popolazione italiana che, animata dal medesimo sentimento di restituire al Paese libertà e democrazia, ha agito nelle più avanzate forme, anche non necessariamente armate. Di quei gruppi e formazioni, l’associazione ANPI è l’erede spirituale, così come riconosciuto dal tribunale militare di Verona.
La pace come scritta nella Costituzione articolo 11- l’Italia ripudia la Guerra- dobbiamo ricordarlo sempre e impegnarci sempre per la pace.
Dallo statuto dell’associazione: “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”.
Dobbiamo ricordare la trasformazione che il fascismo fece in Italia costruendo uno Stato autoritario e totalitario.
E che cosa è una società totalitaria (quella che hanno voluto, costruito, imposto e progettato, fin dal 1924, il fascismo) se non un modello politico che doveva essere profondamente invasivo, imposto con la forza nella coscienza degli individui. Per raggiungere questo obiettivo furono necessarie leggi straordinarie, tribunali speciali, l’assassinio degli oppositori in Italia e all’estero, carcere, confino, persecuzione degli antifascisti, eliminazione dei diritti individuali e collettivi, divieto di sciopero, divieto di contestazioni individuali e tantomeno collettive, soppressione dei sindacati e delle associazioni (comprese quelle giovanili cattoliche), nessuna possibilità di associarsi ad un partito o ad un’organizzazione che non fosse affine al regime, chiusura delle case del popolo e di ogni ritrovo sociale autogestito come le società di mutuo soccorso, soppressione di ogni forma di partecipazione al voto, soppressione degli organi elettivi, leggi razziali, emarginazione del diverso, guerre in gran parte del mondo (anche con l’uso di gas nervini per soffocare le resistenze), militarizzazione della nazione (credere obbedire e combattere)… Ecco che cosa è stato il fascismo.
“Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con fermezza”. Così si è espresso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, celebrando il Giorno della memoria.
E, sempre il capo dello Stato: ”razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta ed inevitabile conseguenza. Volontà di dominio e di conquista, esaltazione della violenza retorica bellicistica, sopraffazione e autoritarismo, supremazia razziale, intervento in guerra contro uno schieramento che sembrava prossimo alla sconfitta, furono diverse facce dello stesso prisma”.
Quest’anno è il settantesimo della nostra Costituzione e davanti a episodi crescenti di xenofobia, razzismo e fascismo, a episodi di violenza cieca, così come accaduti anche nella mia regione (le Marche) contro persone inermi, solo perché erano “neri”, si impone una riflessione concreta sulla necessità dell’applicazione della carta fondamentale che la lotta al fascismo prima, la Resistenza e la Costituente dopo, ci hanno dato.
E’ il colore della pelle che ci divide o il mancato adempimento di quel compito che la Costituzione assegna e cioè quello di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini?
Sentiamo spesso imprecare contro quelli che “ci rubano il lavoro” ma difficilmente ci preoccupiamo che non vengono rimosse le cause che rendano effettivo il diritto al lavoro; il lavoro è indispensabile, necessario, vitale, ed è lo strumento per affermare la dignità di ogni individuo, uomo o donna che sia.
E ancora perché riteniamo antifascista questa nostra Costituzione.
La tutela della privacy ma anche, in senso più ampio, la tutela della riservatezza sui nostri gusti, curiosità, aspirazioni, aspettative, non sempre sono garantite.
I nostri orientamenti sono tradotti in algoritmi, trasformati in dati che vengono venduti, mercificati e utilizzati anche per orientare le espressioni di voto, condizionando la vita democratica, il voto che dovrebbe essere personale ed eguale, libero e segreto, come dice la Costituzione.
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili, perché nei venti anni di fascismo questo era negato.
Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio e nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche, ed anche questo era vietato nei venti anni di fascismo.
Il nostro domicilio è inviolabile perché in quei venti anni di dittatura le abitazioni, come quelle della mia famiglia e di tanti antifascisti, erano sistematicamente violate dalla polizia politica fascista.
Il principio di uguaglianza e libertà davanti alla legge, di tutte le religioni, come sancito dalla Costituzione, è in antitesi alla legge sulla razza del 1938 (quest’anno ricorre l’ottantesimo anno da quella vergogna), legge che fu il preludio all’invio di tante donne, uomini, bambini e anziani, di tante religione nei campi di concentramento e nei forni crematori.
Con le «Leggi speciali per la difesa dello Stato», del 6 novembre 1926, il regime fascista estese l’istituto dell’ammonizione ai politici, leggi che sono state abolite grazie alla lotta fatta dalla resistenza e dall’intervento degli alleati.
E’ la Costituzione lo strumento fondamentale, lo strumento che dobbiamo utilizzare, è la nostra conciliazione con la vita.
Ecco, essere antifascista continua con le parole del Presidente della Repubblica a dare un senso, una speranza per il nostro futuro. Un insegnamento, quella della Resistenza e dell’antifascismo, che continua a contrassegnare la vita democratica della nostra Repubblica.
Promuovere i valori della Costituzione e lo studio del percorso che ha portato l’Italia ad essere una nazione libera e democratica è fondamentale, e il luogo principale della sua realizzazione non può essere che la scuola: è li che si devono formare i nuovi cittadini, consapevoli della propria storia, delle proprie origini.
La scuola come la società democratica e le istituzioni, Comuni, Regioni lo Stato devono essere barriera impenetrabile, utile a fermare quelle associazioni, quei movimenti neofascisti, che subdolamente si inseriscono nelle nostre città, agiscono sui social – network, si presentano alle nuove generazioni anche con modi garbati e usano temi civilmente rilevanti, ma che disseminano messaggi di odio, creano paure, spesso impregnati di intollerabile razzismo, che nel tempo penetrano nelle coscienze dei cittadini, deformando la realtà e intaccando i valori di base della convivenza civile e democratica,
Ricordare la resistenza, la liberazione, il sacrificio di tante ragazze e ragazzi, non è che questo: attuare quanto loro hanno scritto, che è il risultato dei venti anni di antifascismo, idee e concetti elaborati nelle carceri e al confino, nei campi di lavoro, e poi sui monti.
Mai più fascismi mai più razzismi
Facciamo sentire forte questo nostro grido, qui ed ora c’è una minaccia per la democrazia; firmiamo l’appello, firmiamolo uniti, in tanti e invitiamo le istituzioni ad operare affinché lo Stato manifesti pienamente la sua natura antifascista, in ogni sua articolazione.
Uniti lanciamo l’allarme democratico affinché si attui pienamente la dodicesima disposizione della Costituzione: è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista; di conseguenza si punisca ogni forma di fascismo e razzismo.

E’ già accaduto che la debolezza dello Stato ha reso possibile l’avventura fascista, come allora anche oggi diciamo MAI PIU’

Viva il 25 aprile w la resistenza antifascista.