Il 16 febbraio 1944, alla conclusione di uno scontro armato che si concluse con la sconfitta, cinque giovani Partigiani furono uccisi a colpi di pugnale dai fascisti repubblichini, a Campo ai Bizzi, in località Frassine di Monterotondo Marittimo. Il 13 e il 14 giugno a Niccioleta e a Castelnuovo Val di Cecina, 84 minatori furono trucidati dai nazisti, condotti sul posto dai fascisti repubblichini della zona. Tra queste, la strage di Maiano Lavacchio, avvenuta il 22 marzo, che anche oggi, come ogni anno, celebriamo.
140 iene, assetate di sangue e inferocite per la fine imminente del loro mondo infame, contro 11 ragazzi inermi, la cui unica colpa era quella di non voler combattere sotto la bandiera nera contro propri compatrioti per conto di un esercito invasore. Facilmente i fascisti ebbero la meglio; i giovani subirono sul posto un processo farsa, quindi la fucilazione. Non erano Partigiani combattenti; erano soltanto renitenti alla leva militare disposta dal governo fantoccio di Salò: e il rastrellamento contro di loro aveva, al pari di altri rastrellamenti di quel periodo, “la finalità di assicurare mediante il terrore di sanguinose repressioni un maggior afflusso di militari a quell’esercito repubblichino voluto dai tedeschi a sostegno della loro azione contro gli Alleati e l’esercito del governo legale”, come sta scritto nella sentenza che concluse il processo ai fascisti maremmani il 18 dicembre 1946. Infatti, la renitenza era un fenomeno diffuso, se è vero che alla data del 23 marzo 1944 su 2.697 chiamati alle armi, in provincia di Grosseto si erano presentati al distretto soltanto 546 uomini, a dimostrazione di una avversione al fascismo che era penetrata in tutti gli strati della popolazione, e che tanta efferatezza contribuì ad aumentare considerevolmente: dopo l’eccidio diminuirono ancora gli arruolamenti nelle fila mussoliniane e crebbe l’adesione alle formazione partigiane.
Ma nei vari gradi di giudizio la clemenza fu troppa per gli assassini: se nel primo le condanne a morte furono 8, 2 quelle a 30 anni di reclusione, 12 a pene minori, 17 le assoluzioni, nei successivi esse furono in gran parte derubricate, condonate o amnistiate. Così i familiari delle vittime e l’antifascismo grossetano non avranno mai giustizia. La loro frustrazione sarebbe addirittura aumentata vedendo di lì a poco che, complice la divisione del mondo in blocchi contrapposti, coloro che erano stati fascisti rientravano negli apparati statali e chi li aveva combattuti come Partigiano era invece discriminato.
Eppure è stato grazie al loro sacrificio, a quello generoso e multiforme degli Antifascisti e della Antifasciste che l’Italia si è liberata ed è diventata un Paese libero e democratico, proiettato nel futuro. Basti ricordare in proposito il celebre e più volte citato discorso che Piero Calamandrei tenne nel 1946 ai giovani sui luoghi nei quali è nata la nostra Costituzione e su coloro che ne furono i veri artefici. Se l’Antifascismo e la Resistenza hanno fondato un’Italia nuova, chi ha combattuto e vinto una dittatura feroce e asservita al nazismo, quantunque semplice cittadino e popolano, è Padre e Madre della Patria come lo sono stati i personaggi più illustri e prestigiosi del Risorgimento. Il Risorgimento realizzò l’unità della Nazione, la Resistenza ha portato il popolo nello Stato, creando le condizioni di quella “democrazia progressiva” voluta dai Costituenti, così completando un ciclo storico.
Ma la democrazia e la libertà non sono acquisite per sempre, come ci dice il fatto che l’Olocausto, la più grande tragedia della storia, si sia verificato dopo che l’Europa aveva conosciuto grandi stagioni di sviluppo umano, riconducibili al Rinascimento e all’Umanesimo, all’Illuminismo e alla Modernità. O queste risolvono i problemi dell’uomo, o degenerano nel populismo aprendo la strada all’autoritarismo, il cui migliore antidoto sta in una rappresentanza che consegni saldamente il potere nelle mani dei cittadini, togliendolo alle concentrazioni economico-finanziarie globalizzate che, con l’attiva partecipazione di troppi governanti, perseguono il massimo profitto, creando grandi differenze sociali e allargando l’area della povertà, a fronte di ricchezze stratosferiche per un numero sempre più ridotto di superricchi. La mancanza di lavoro e l’incertezza nel futuro, che colpiscono soprattutto i giovani, unitamente alla paura per il diverso, costituiscono il brodo di coltura del neofascismo che, a 70 e più anni dalla Liberazione, si ripropone sulla scena europea in maniera e con un seguito allarmanti. Al punto che il fascismo non è soltanto materia per libri di storia; in forma diversa è una evidente minaccia dei giorni nostri.
Esso va fronteggiato con le armi della democrazia, che sono grandi e decisive più della violenza. Per questo diciamo che organizzazioni come Casa Pound e Forza Nuova devono essere sciolte applicando finalmente dettato Costituzionale e leggi vigenti. E a chi da destra insiste con la retorica della “pacificazione nazionale”
rispondiamo che se essa si dovesse fondare, come sembra, sulla rimozione della memoria sarebbe una truffa ai danni del popolo italiano e un insulto insopportabile agli Antifascisti. Perché in gioco, oltre al rispetto delle persone e della storia, ci sono le radici ideali ed etico-morali della nostra convivenza civile, quali presidio della democrazia. Noi siamo pacifisti per natura, in quanto eredi dei Partigiani, che la Resistenza la fecero contro la guerra. Ma non retrocediamo dall’esigenza di una “memoria condivisa” che si basi sull’unanime riconoscimento di chi allora era dalla parte del giusto e di chi era invece da quella del torto. Non è vero che carnefici e vittime abbiano versato sangue del medesimo colore, e non potranno mai avere uguale rispetto nemmeno sotto la polvere del tempo. Michele de Anna, capo della squadra azione Ettore Muti non è la stessa cosa di “Lele” e Corrado Matteini, due fratelli tra gli 11 ragazzi di Maiano Lavacchio che prima di essere ammazzati dagli sgherri del de Anna scrissero sulla lavagna della scuola l’ultimo saluto alla loro madre.
Soprattutto vogliamo promuovere una “memoria attiva”; lo facciamo anche con il recupero della “scuolina”, ideato dall’ANPI e programmato dal Comune di Magliano e dall’ISGREC, mirando a costruire attorno ai valori Costituzionali la più ampia unità popolare, che comprenda la destra liberale, il moderatismo democratico e le varie anime della sinistra, per dare a tutti un domani migliore. Un domani fatto di pace, che non è soltanto assenza della guerra, ma che si nutre di giustizia sociale e di amore per il prossimo, da ovunque egli venga e qualunque sia il colore della sua pelle. Un domani fatto di promozione della dignità umana e del lavoro, superando le discriminazioni di genere e garantendo a tutti una occupazione giustamente retribuita, che permetta a uomini e donne di realizzare se stessi nell’attività produttiva e nei servizi: per cui l’essere umano dovrà occupare nell’economia il posto centrale oggi riservato al denaro. A tal fine non basta più rivendicare genericamente “lo sviluppo”; cioè una crescita che il pianeta non regge. Dobbiamo dire quale sviluppo vogliamo: perché c’è uno sviluppo che non crea lavoro, ma lo distrugge; che invece di fare del bene all’uomo lo danneggia. Come dimostra il riscaldamento del clima, che ci chiama ad un diverso e più responsabile stile di vita.
Che lo si veda o no stiamo vivendo un passaggio epocale, caratterizzato sia dall’esaurimento di una modernità inquinatrice e sprecona, per quanto portatrice di sofferenza sociale, sia dalle difficoltà di un nuovo e migliore pensiero politico a vedere la luce e affermarsi. Forte è il pericolo di una rovinosa decadenza delle stesse relazioni umane; e il consenso raccolto nelle recenti elezioni da partiti anche inclini alla chiusura identitaria, che si alimentano del sentimento razzista presente in ampi strati sociali, è cosa che dà una certa apprensione. Ma è presto per dare giudizi definitivi. Con spirito democratico aspettiamo i vincitori alla prova dei fatti: tenendo ferma la discriminante Antifascista chiediamo loro il rispetto e la piena applicazione della Costituzione. Se lo faranno, bene. Altrimenti saremmo pronti alla lotta.
Per noi la sicurezza dei cittadini è sacra, ma questa si realizza nella giustizia e nel benessere sociale, non diffondendo odio razziale contro chi si rivolge a noi scappando dalla guerra e dalla fame. Odio che si propone di stornare l’attenzione dai veri responsabili delle difficoltà che stiamo vivendo. Quella dell’invasione è una immagine propagandistica, mentre ciò che meritoriamente stanno facendo vari Comuni e la Prefettura prova che quando prevale l’intelligenza sull’emotività l’integrazione dei migranti nel contesto locale è possibile e positiva.
Perciò la politica e la cultura facciano uno scatto per dimostrasi all’altezza di questi compiti immani. Non esistono subordinate né comode scorciatoie se vogliamo mantenere vivo nell’oggi lo spirito della Resistenza, restando fedeli al messaggio di uguaglianza e solidarietà lasciatoci dai nostri caduti. Tra i quali Mario Becucci, Alfonso Passannanti, Antonio Brancati, Rino Ciattini, Attilio Sforzi, Alcide Mignarri, Emanuele e Corrado Matteini, Alvaro Minucci, Silvano Guidoni e Alfiero Grazi che oggi ricordiamo. Che sempre riposino in pace.
22 marzo 2018.