Considerazioni sul neofascismo oggi
Beppe Corlito1
Scrivo queste considerazioni su richiesta del vecchio compagno e amico Giò Lindi, presidente della sezione A.N.P.I. di Carrara.
1. Attualità del neofascismo
Esiste una vera emergenza neofascista ? la risposta è nettamente positiva. Nel nostro paese non c’è mai stata una discontinuità vera rispetto alla dittatura fascista, eccetto per la fase acuta e sostenuta militarmente della Resistenza. L’amnistia di Togliatti e la mancata epurazione, così come la mancata applicazione della XII disposizione (che deve aspettare oltre 4 anni dal 1948 al 1952 – per trovare una legge applicativa, quella Scelba), dimostrano in modo palmare questo concetto. I sostenitori della repubblichina di Salò, a cominciare da Giorgio Almirante, dopo la latitanza in cui si sottrassero alla giusta punizione delle loro infamie, confluirono nell’MSI, che l’ANPI non riuscì a far dichiarare fuori legge nel 1953: fu la prima mancata applicazione della legge Scelba. Questo fenomeno è quello che storicamente è stato definito “neofascismo” e le organizzazioni neo-fasciste a cominciare dall’MSI e dalle sue filiazioni sono sempre state utilizzate come carta di riserva nei momenti critici della storia repubblicana (ricordiamo il governo Tambroni negli anni Sessanta; l’utilizzo dei neofascisti nel periodo stragista da Piazza Fontana alla stazione di Bologna che durarono oltre un decennio contro il movimento studentesco ed operario e contro il rischio dell’ingresso del PCI nell’area di governo sia pure in posizione subalterna). Oggi siamo di fronte ad una nuova crisi socio-economica, equiparabile solo a quella del 1929, e al riemergere su larga scala delle formazioni neofasciste. Non è un “rigurgito” (parola molto ambigua che allude ad un organismo sano che espelle un boccone tossico), ma una riorganizzazione su vasta scala. Qualsiasi giudizio si possa esprimere sul fenomeno, esso esiste. Le due organizzazioni neo-fasciste più diffuse (Casa Pound, CP, e Forza Nuova, FN) sono organizzate su scala nazionale ed hanno un patto di unità d’azione tra loro con una divisione dei territori di competenza (la prima al centro-sud, la seconda al nord). Sono appena uscite da una fase “entrista” nelle organizzazioni della destra estrema (Fratelli d’Italia), per entrare in una fase di “accreditamento di massa” (apertura diffusa di sedi sul territorio, articolazioni di intervento sociale, onlus ecc., presenza elettorale autonoma come nelle ultime elezioni amministrative) (cfr. “Nazitalia”, L’Espresso, n. 31, 30 luglio 2017). A questo si accompagna una posizione collusiva delle istituzioni (risposta di Alfano, ministro degli interni, su Casa Pound, comitati elettorali e prefetture straordinariamente lenti nel prendere decisioni in merito, cose che producono agibilità politica).
Occorre domandarci quali siano i caratteri attuali del neo-fascismo. Per quanto si presentino come “i fascisti nel terzo millennio” (definizione di CP), essi indulgono anche nei simboli “nostalgici” del fascismo storico a cominciare dal saluto romano, che le forze dell’ordine tollerano anche troppo, nonostante le molte sentenze che lo puniscono ai sensi della legge Scelba e di quella Mancino. Vi è in questo una continuità “nostalgica”, ma non dobbiamo sottovalutare la novità, in particolare il particolare impegno nel “sociale” dove tali organizzazioni si esercitano a difendere capillarmente, anche con mezzi illegali e violenti, le condizioni di vita delle famiglie italiane (difesa dagli sfratti per far posto a famiglie straniere, raccolte alimentari per gli italiani indigenti, invio di soccorsi nelle zone terremotate ecc.). La modalità di tale impegno è classicamente divisivo e razzista, vuole contrapporre gli italiani agli stranieri. È la loro risposta all’enorme problema della migrazione, che li porta ad avere posizioni sovraniste vicine a quelle della Lega Nord, e affonda le sue radici nella destra sociale e nelle tradizioni del primo fascismo, quello delle origini e poi repubblichino.
Così essi colgono la novità, prodotta dalla globalizzazione e dalla crisi economico-sociale mondiale prodotta dalle politiche neo-liberiste: la migrazione, la quale ha raggiunto su scala planetaria – dal sud al nord – dimensioni “bibliche” paragonabili solo a quelle che portarono alla fine dell’impero romano. La risposta neofascista è eminentemente razzista, cioè volta a difendere gli italiani (e in generale l’Occidente) contro gli stranieri considerati nel loro complesso privi di diritti di cittadinanza umana. Tale impostazione è del tutto deviante dalla realtà: non cura che è la globalizzazione capitalistica e la guerra dei “trenta anni” dei due Bush in Medio Oriente ad aver prodotto questo risultato; né considera che il numero di migranti a cui l’Italia da ospitalità è molto inferiore a quello di altri paesi europei (ad es. la Germania). Il razzismo è una novità parziale: esso è stato storicamente e giustamente considerato uno dei segni precursori dell’avvento del fascismo. Ricordiamo gli ebrei, la campagna antisemita che accompagnò l’avvento del nazismo e del fascismo storico: la centralizzazione sul conflitto razziale occulta sempre quello di classe (è così negli USA e in Israele dove i neri e i palestinesi sono la forza lavoro addetta alle mansioni lavorative più umili e sfruttate; così è anche da noi per i migranti che trovano lavoro).
2. Incrocio del vecchio fascismo storico e del neofascismo oggi
Siamo, dunque, all’incrocio tra la continuità del fascismo italiano storico e l’insorgenza del neo-fascismo attuale.
Tutta la storia dello stato unitario italiano è intrisa di moderatismo e autoritarismo, basti ricordare l’unificazione della nazione durante il Risorgimento su basi moderate (la destra liberale), schiacciando il sud ridotto a colonia interna, e le tradizioni autoritarie della casata dei Savoia (in particolare Umberto I): il cedimento del re al ricatto della marcia su Roma è la conseguenza di una posizione antica. Il ritardo storico della costituzione della nazione italiana, favorito anche dalla presenza dello stato pontificio e dalla “missione universale” della chiesa cattolica (analogamente al percorso tedesco per altre specifiche ragioni), è stato indicato come una delle cause dell’avvento del fascismo. E’ stata dimostrata in sede storica la continuità tra lo stato sabaudo, quello liberale giolittiano e quello fascista ed infine tra questo e la cd prima Repubblica. Il costume italiano dall’epoca del saggio di Leopardi (1828) è sempre stato legato alla grettezza delle “società strette”, dipendenti dal dominus del momento, nettamente separate dal popolo. La teorizzazione di questo limite sociale nelle ipotesi oligarchiche, nate in Italia e storicamente parallele, di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, che Mussolini eresse a proprio maestro di vita, è l’anticamera del fascismo storico e permangono nella cultura sovranista attuale.
Dunque il fascismo storico allora, come ora il neofascismo, si propone come variante autoritaria della gestione del potere ed è stato usato costantemente come carta di riserva del dominio della grande borghesia anche in epoca repubblicana. Schematicamente quando la grande borghesia riesce a gestire il potere grazie al consenso popolare delle classi subalterne non ha bisogno di soluzioni autoritarie come il fascismo o il neofascismo; quando l’incalzare dei conflitti economici, sociali e politici rende più difficile gestire il consenso essa ricorre alla carta autoritaria (è il ventennio fascista quando la dittatura inquadra e incanala il consenso popolare con una strumentazione autoritaria e populista, mobilitando soprattutto la piccola borghesia) oppure alla manovalanza fascista come minaccia terrorista (è il periodo stragista contro il movimento dei lavoratori negli atti Settanta-Ottanta del secolo scorso).
3. Natura del fascismo: crisi economico-sociale e mobilitazione della piccola borghesia
La crisi ciclica del capitalismo ripropone, attraverso i meccanismi della sovrapproduzione e della riduzione del potere economico e sociale del lavoro, la concentrazione della ricchezza e del potere in mano di ristrette elite oligarchiche. Una conseguenza è quella che è stata definita “proletarizzazione”, cioè lo sprofondamento dei ceti medi e in maniera significativa della loro parte inferiore, la piccola borghesia, in condizioni proletarie.
La perdita dei modesti privilegi della piccola borghesia nei momenti di crisi ne produce la mobilitazione feroce in loro difesa, in questo va ripreso la definizione di De Felice del fascismo come “mobilitazione della piccola borghesia” (R. De Felice, Fascismo, 2011). Per quanto le ipotesi di De Felice sul fascismo siano state criticate da sinistra, il dato della composizione sociale dei quadri e dei dirigenti del fascismo storico, a partire dallo stesso Mussolini, conferma l’ipotesi. L’oscillazione storica di Mussolini dall’essere socialista rivoluzionario (però interventista) a “inventore” del fascismo ripropone una conseguenza di quanto detto sopra: quando le classi subalterne e i lavoratori sono organizzate e in fase di attacco al potere capitalistico la piccola borghesia può essere attratta nella loro orbita, quando la grande borghesia è vincente tale strato sociale ne è irrimediabilmente attratto in funzione feroce di cane da guardia.
4. Ricorrenza della crisi di sovrapproduzione e uso della carta di riserva
L’attuale crisi economica e sociale sembra in via di risoluzione nella versione della crescita senza lavoro. “C’è una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra , e stiamo vincendo” secondo le parole brutali di Warren Buffett, il terzo uomo più ricco del mondo (S. George, Come vincere la guerra di classe, 2013). Non trova alcun contrasto in mancanza di un’organizzazione adeguata delle classi lavoratrici né in senso sindacale, né politico sia a livello nazionale che internazionale. Questo permette di ipotizzare che la classe dominante non ha bisogno di giocarsi la carta autoritaria o fascista. Ha ancora strumenti per l’organizzazione del consenso.
Non è detto che la crisi di sovrapproduzione sia definitivamente risolta o che non possa ripresentarsi anche sul breve periodo. Vari economisti fanno questa previsione: o con la progressiva introduzione della moneta virtuale e quindi del suo ulteriore svincolo dalla produzione (“finanziarizzazione del capitale”) o attraverso le proposte dell’amministrazione Trump di alleggerire le leggi anti-trust reintrodotte da Obama e quindi il rischio di riproporre i meccanismi della crisi. Il teorico della “decrescita felice”, Latouche, sostiene che nell’attuale invasione planetaria delle merci siamo condannati a crisi di sovrapproduzione subentranti. Banalmente non saremmo in grado di consumare quanto stiamo producendo. Quindi la crisi può ripresentarsi e un suo “avvitamento” può dar luogo a possibili sbocchi autoritari.
Oggi non mi sembra imminente il ricorso alla carta di riserva neo-fascista. Quanto è accaduto alla ultime elezioni francesi e tedesche attesta che la classe dominante non ha bisogno di ricorrere a soluzioni autoritarie. La carta della destra costituzionale e europeista di Macron e Merkel è risultata vincente contro il sovranismo e il nazionalismo della Le Pen e contro le risorgenti tesi neo-naziste più o meno criptiche della formazione tedesca giunta terza alle elezioni (AFD, Alleanza per la Germania). In questo va considerata ancora una volta (come spesso nella nostra storia recente e passata) la specificità del “caso italiano”: da noi il cd centro-destra sta facendo le carte false per presentarsi unito alla prossima scadenza elettorale, in cui la destra moderata di Forza Italia tenta di cooptare in via subalterna la destra sovranista (Lega) o nazionalista nostalgica (Fratelli d’Italia).
5. La fase non è prerivoluzionaria
Recentemente la compagna partigiana Lidia Menapace ha sostenuto che la fase attuale è “pre-rivoluzionaria”(bottegapartigiana.org/lidia-menapace-discorso-di-una-partigiana-della-cultura-2/), anche se in senso culturale e non strutturale (?). Una simile analisi non trova verifiche nella realtà e può dar luogo ad errori politici di estremismo, in particolare di individuare – con un malvezzo tipico della sinistra – il nemico principale nelle formazioni politiche più vicine. Nella teorizzazione di Lenin una fase prerivoluzionaria con possibilità di successo risulta dall’ “intreccio tra l’insofferenza ormai incontenibile delle classi subalterne e la sempre più evidente incapacità delle classi dominanti a dirigere” (Losurdo, 2003). È evidente che nessuna delle due condizioni qui indicate è desumibile dall’analisi della situazione concreta. Per quanto da un punto di vista etico la condizione di sviluppo del capitalismo in questa fase appare “putrescente” (basta guardare i ricorrenti esempi di corruzione delle classi dirigenti italiane, europee ed occidentali), non è sicuramente così né dal punto di vista economico, né da quello produttivo, né da quello dell’innovazione tecnologiche. Non possiamo confondere la nostra indignazione morale con le condizioni oggettive della fase storica.
La fase storica, che stiamo attraversando, è sicuramente difensiva, rispetto ai rapporti di forza tra le classi in campo, in particolare le classi lavoratrici sono in tutto il mondo sulla difensiva tese a difendere – in condizioni di subalternità culturale, politica ed ideologica – i residui spazi democratici “borghesi” (si sarebbe detto un tempo) e le proprie condizioni di vita e di lavoro.
In questa situazione l’obbiettivo principale è la necessità di difendere il lavoro e la democrazia rivendicando politiche di uscita dalla crisi di tipo espansivo, che punti alla piena occupazione. Sono le politiche anticicliche di ispirazione keynesiane e socialdemocratiche. Sono le stesse rivendicate oggi dalla sinistra in Grecia contro l’Europa, quelle che ispirarono in parte il new deal rooseweltiano, che allora vennero criticate come il salvataggio del capitalismo, le quali oggi non vengono messe in campo dagli stati occidentali. L’austerity neo-liberista, tanto criticata a parole, punta chiaramente ad un’uscita dalla crisi senza lavoro, salvaguardando le disuguaglianze sociali che si sono determinate nell’ultimo decennio, che sono ritornate ad essere quelle del 1929 (M. Revelli, 2014). Ciò vuol dire consolidare rapporti di forza favorevoli alle classi dominanti. All’interno delle politiche per la piena occupazione sta – a mio avviso – la risposta al problema della migrazione, che implica una politica del lavoro in cui lavoratori occidentali e lavoratori migranti possano stare fianco a fianco in maniera non conflittuale come fin da oggi sappiamo (i dati disponibili per l’Italia ci dicono che i due mercati del lavoro degli italiani e degli stranieri non sono concorrenziali tra di loro).
Sul piano politico l’indicazione dell’ unità antifascista è centrale come ha sempre sostenuto l’A.N.P.I.; la sua rottura ha sempre nuociuto allo sviluppo democratico del nostro paese, a cominciare da quella del 1948. Essa non è una semplice memoria storica, è anche un’indicazione politica per il presente. Non è una riedizione dell’indicazione dei “fronti popolari” o dei “fronti uniti” degli anni Trenta, indicati tardivamente dalla Terza Internazionale di Dimitrov, quando per anni la sinistra rivoluzionaria di allora era stata indulgente con la funesta teoria del social-fascismo, che consegnava ampi settori popolari e socialdemocratici all’incalzare della minaccia nazi-fascista. Occorre, però, recuperare di quell’esperienza alcune indicazioni valide per l’oggi: non possiamo pensare che il nemico principale siano le formazioni sindacali e politiche storiche del movimento dei lavoratori e assimilare le forze del cd centro-sinistra a quelle del centro-destra (o peggio in una categoria generica di “fascismo”, come si può incontrare in qualche posizione più rozza sul web), né soprattutto possiamo nasconderci che l’elettorato storico del centro sinistra contenga forze genuinamente democratiche ed antifasciste. Non possiamo neppure sottovalutare le più recenti iniziative antifasciste del PD su scala nazionale (legge Fiano) o le prese di posizioni del PD toscano (la loro presenza davanti alla chiesa di Don Biancalani di Vicofaro a Pistoia o nella manifestazione sul Monte Sagro contro le provocazioni neo-repubblichine). In questi ultimi movimenti possiamo anche vedere una strumentalizzazione in chiave elettorale, tesa a recuperare consensi a sinistra e ad arginare l’avanzata della destra. Si contrappone a questo il progressivo e continuo slittamento del PD verso il centro, che valorizzando la continuità (ma anche discontinuità) dei passaggi dal PCI al PDS fino al PD renziano è la progressiva accelerazione di un processo storico, che ha radici lontane. Il riferimento attuale dell’unità antifascista sono le forze genuinamente democratiche ed antifasciste, che troviamo non solo nell’elettorato del PD, ma anche in quello delle forze centriste. In tal senso va valorizzata l’esperienza storica della Resistenza, che è andata dai monarchici fino ai comunisti. Concludendo: la costruzione dell’unità antifascista è un processo dal basso, interno alla compagine sociale, il cui obbiettivo principale è la difesa e lo sviluppo della democrazia.
6. Non sottovalutare il neo-fascismo oggi e costruire l’unità antifascista dal basso
Avviandomi alle conclusioni di queste considerazioni, voglio sottolineare che non dobbiamo sottovalutare il pericolo neo-fascista rispetto alle istituzioni democratiche e al tessuto solidale delle nostre comunità, anche se esso non è oggi il pericolo principale, pur potendolo diventare di fronte ad un avvitamento della crisi socio-economica. Inoltre occorre individuare le principali strategie per il contrasto al neo-fascismo e per la costruzione dell’unità antifascista dal basso, che dicevo poco sopra. Mutuo tre indicazioni principali dagli atti del Convegno promosso dall’A.N.P.I. nazionale e dall’Istituto Cervi del 2014 (Il contrasto ai Neo-fascismi: gli strumenti giuridici e politici), dicendo subito che esse vanno ulteriormente rielaborate alla luce degli ultimi avvenimenti e dell’analisi condotta qui sopra.
Il contrasto politico -culturale è il terreno centrale dello scontro. Esso non può essere una semplice riedizione dei valori dell’antifascismo, ma deve essere “memoria attiva”, cioè attualizzazione dei valori della Resistenza. In particolare un lavoro culturale e politico grosso deve essere condotto instancabilmente sui temi del razzismo, che è da sempre l’anticamera del fascismo ed è oggi centrale nella questione della migrazione. Non può essere solo un atteggiamento “buonista”, legato alla solidarietà e all’accoglienza, ma un lavoro continuo di controinformazione sulle balle che vengono costantemente diffuse dai media: qual è il numero vero dei migranti e dei rifugiati in Italia ? il più basso d’Europa; è vero che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani ? i due mercati del lavoro sono nettamente separati e dati alla mano non concorrenziali tra loro (gli stranieri fanno lavori rifiutati di solito dagli italiani); qual è il contributo dei lavoratori stranieri all’erario ? senza i loro versamenti il sistema pensionistico italiano sarebbe già in crisi (v. recenti dati dell’ISTAT) ecc. Occorre porre mente ad un problema di comunicazione: mentre gli slogan fascisti e razzisti contro gli stranieri sono facili e giungono alla pancia della gente; il discorso corretto implica un ragionamento razionale che coinvolga la testa dei cittadini. Il target principale sono le giovani generazioni e la scuola (studenti e insegnanti). Va fatto un lavoro capillare per applicare in tutte le scuole il protocollo nazionale A.N.P.I. -M.I.U.R.
Il contrasto giuridico-legale contro il neo-fascismo è ampiamente sottovalutato, c’è una tolleranza delle istituzioni (governo, prefetture ed enti locali) del pericolo neo-fascista e delle sue manifestazioni esteriori (saluto romano, oggettistica, canti ecc.) come se fossero
atteggiamenti goliardici o banalmente nostalgici. Oltre la XII disposizione finale della Costituzione, esiste l’intero impianto della Carta e due leggi applicative, la legge Scelba (n. 645 / 1952) e la legge Mancino (n. 205/1993), che pone particolare attenzione a problemi dell’incitamento alla violenza per motivi razziali. Nonostante tali due leggi siano state asseverate da alcune sentenze della Corte Costituzionale esse sono state poco applicate nel corso della storia repubblicana a cominciare dalla già citata mancata messa fuori legge del MSI, promossa dall’ A.N.P.I. nel 1953. Vi è anche una sottovalutazione del contrasto legale nella stessa sinistra, quasi che per dirimere tali questioni fosse disdicevole ricorrere alle istituzioni preposte dello stato. Vi è una scarsa cultura giuridica nelle organizzazioni antifasciste. Si è poi aperto un problema con la diffusione del web e dei social network, che sfuggono alle leggi sulla stampa, e che sono state invase dalla presenza neo-fascista, insieme al proliferare dei gadget e dell’oggettistica di ispirazione fascista. Sembra che la proposta di legge Fiano voglia mettere rimedio a questa carenza. In particolare occorre essere attenti e sollecitare le istituzioni ad applicare le leggi vigenti e non consentire agibilità politica ed elettorale alle formazioni neo-fasciste: è necessario far attenzione e pretendere tempestivamente che le commissioni elettorali (prima del voto e non dopo come è accaduto nel corso dell’ultima tornata amministrativa ) applichino le leggi esistenti.
Il contrasto a livello di massa è quello attualmente più carente. In primo luogo occorre non “lasciare la piazza” ai fascisti. In questo ambito lo strumento migliore è il presidio antifascista, che deve essere promosso da schieramenti il più ampi possibili (unità antifascista) costituendo idonei comitati unitari antifascisti, aperti a tutti i cittadini, che vadano oltre il cartello delle sigle e delle organizzazioni “di sinistra”. È necessario anche sfatare i miti accarezzati dal cd “antifascismo militante”, della risposta colpo su colpo sul piano militare e della violenza. Non è questa la fase politica dello scontro armato e si pone anche il problema di indulgere ad una cultura della violenza, che è appannaggio del neo-fascismo. Tutto questo però non basta. Occorre approfondire la riflessione sul contrasto che va portato esattamente sul piano sociale dove – abbiamo visto – si vanno schierando le formazioni neo-fasciste a livello territoriale e di quartiere. In particolare è necessario un rilancio del lavoro di massa degli studenti non solo a livello culturale e di opinione, ma soprattutto a livello delle lotte studentesche per rivendicare il diritto allo studio per tutti e la tutela del patrimonio edilizio scolastico. Su questo livello sindacale, ormai ampiamente dimesso dalle forze della sinistra (salvo la modesta eccezione della Rete degli Studenti Medi e dall’Unione degli Studenti Universitari), gli organismi di massa che vengono creati ad hoc per la gestione delle lotte devono avere la discriminante antifascista.
Riferimenti bibliografici
“Nazitalia”, L’Espresso, n. 31, 30 luglio 2017
Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani , (1824) Feltrinelli, 2015
Renzo De Felice, Fascismo, Le lettere, 2011
Susan George, Come vincere la guerra di classe, Feltrinelli, 2013
Domenco Losurdo, La dialettica delle rivoluzione in Russia e in Cina: un’analisi comparata, L’Ernesto Toscano, 2003
Marco Revelli, La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi, Laterza, 2014
A.N.P.I. nazionale, Il contrasto ai Neo-fascismi: gli strumenti giuridici e politici, 2014
Grosseto, 8 ottobre 2017