Il 25 aprile del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale dichiarava lo sciopero generale e l’insurrezione. La popolazione insorgeva e i partigiani occupavano le città del Nord del paese; l’Italia riconquistava definitivamente la libertà e la democrazia.
Il fascismo negli anni venti aveva attaccato e cancellato la fragile democrazia italiana, aveva usato una feroce violenza contro i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali e politiche, contro le cooperative, contro la libertà di stampa e aveva saputo abilmente giocare sulle divisioni dei partiti democratici e dei sindacati. Il regime non solo aveva privato gli italiani della libertà e della democrazia, ma era giunto a promulgare delle vergognose leggi razziali, sottoscritte anche dal re, e aveva fatto precipitare il paese nell’avventura più tremenda: la guerra a fianco di Hitler e dei nazisti.
Una guerra non sentita che venne avvertita come persa dal popolo italiano sin dalla fine del 1942 quando Stalingrado resistette vittoriosamente all’assedio nazista e quando le truppe tedesche vennero sconfitti in Africa. Nell’incertezza sulle prospettive dell’Italia in quel triste frangente molti ceti sociali si interrogarono su quale potesse essere la via d’uscita dalla tragedia nella quale il paese era precipitato. Si interrogò la borghesia, gli intellettuali, la pubblica amministrazione, l’esercito, la Corona, la Chiesa cattolica così come parti consistenti dello stesso fascismo. Si interrogarono a fondo ma non si mosse nessuno contro quel dramma che avrebbe provocato nel mondo oltre 55 milioni di vittime tra le quali si evidenzierà il genocidio contro il popolo ebreo, l’uccisione di milioni di prigionieri di guerra, di zingari, di omosessuali, di Testimoni di Geova e di avversari politici e di altre minoranze sterminate nei lager nazisti.
Contro la guerra si mobilitarono i lavoratori italiani. Con i grandi scioperi del marzo del 1943 avviatisi a Torino ed estesisi rapidamente anche a Milano chiedevano più viveri, più salario, la possibilità di eleggere le proprie Commissioni Interne ma soprattutto chiedevano la fine della guerra. I lavoratori assestarono un colpo formidabile al fascismo, ne disvelarono le debolezze avviando processo che avrebbe portato al 25 luglio del 1943 con le dimissioni di Mussolini, all’armistizio con gli Anglo-Americani dell’otto settembre, alla Resistenza, agli scioperi ancor più grandiosi del marzo del 1944 che costituirono le più grandi manifestazioni di massa mai viste in territori occupati dai nazisti con la fermata di oltre un milione di lavoratori che impressionò la grande stampa internazionale.
E’ assurda e falsa la descrizione che taluni commentatori propongono per denigrare la Resistenza cercando di dipingerci una Italia dove vi sarebbero stati pochi fascisti, pochi antifascisti e una massa grigia, inerte, indifferente composta dalla stragrande maggioranza della popolazione. Analizziamo invece la concretezza dei numeri.
La Resistenza fu combattuta da 250.000 partigiani che ebbero più di 60.000 morti. I combattenti poterono sopravvivere perchè aiutati e sostenuti dalla popolazione civile che permise loro di approvvigionarsi e di nascondersi quando era necessario. La Resistenza fu sorretta dai 650.000 militari italiani che si trovavano sui diversi fronti all’estero e che vennero internati nei lager tedeschi perchè si rifiutarono di andare a servire la Repubblica di Salò e ben 50.000 di loro, in meno di due anni di prigionia, vi trovarono la morte. Resistenza fu la scelta di una parte importante dell’Esercito italiano di schierarsi con gli Alleati e che fu pagata con terribili massacri come quello di Cefalonia. La Resistenza fu sostenuta dai numerosissimi comitati del Comitato di Liberazione Nazionale che si formarono nei quartieri e nei paesi del Centro-Nord dell’Italia, dalla rete dei militanti del Cln operanti nei luoghi di lavoro, dal contributo dato da tante parrocchie, non possiamo dimenticare i 250 sacerdoti deportati e i 210 sacerdoti che vennero fucilati colpevoli di difendere dalla barbarie i loro parrocchiani. Resistenza furono il milione di lavoratori scesi in sciopero nel marzo del ’43 e del ’44 che seppero svolgere una grande funzione nazionale
Con la Resistenza erano solidali tantissime famiglie angosciate per i loro cari al fronte a combattere una guerra perduta che aveva richiamato sotto le armi furono oltre 4 milioni e mezzo di soldati. Contro la guerra erano coloro che soffrivano per la mancanza dei generi di prima necessità con i prezzi che salivano alle stelle in città sottoposte notte dopo notte ai bombardamenti. Molti lavoratori e numerosi macchinari vennero brutalmente deportati in Germania per alimentare le traballanti capacità produttive della macchina bellica tedesca e molti altri lavoratori furono colpiti nella fase finale della guerra per la loro scelta di difendere gli impianti industriali, di difendere le loro fabbriche, le grandi infrastrutture del paese come i porti, le centrali elettriche, le gallerie e i ponti dalla furia e dalla vendetta dei nazisti in fuga. Sommiamo questi numeri e ci rendiamo conto di quanta parte del popolo italiano chiedesse la fine della guerra, della occupazione straniera, il ritorno alla democrazia, alla pacifica convivenza civile, ad una maggior giustizia sociale, ci rendiamo conto di quanta parte del popolo italiano fosse schierata contro i nazi-fascisti.
La Resistenza e il lavoro permisero a De Gasperi di sedersi con dignità al tavolo della pace a Parigi nel 1947, nonostante l’Italia fosse stato uno dei paesi promotori della guerra. La Resistenza vittoriosa ha portato il nostro paese alla Costituzione dove è scritto al suo primo punto che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Un patto nazionale le cui radici sociali e popolari sono chiare, nette e ben visibili che ha rappresentato in tutti questi decenni uno straordinario patrimonio e un riferimento per la nostra democrazia e per la nostra convivenza civile anche se è stato applicata con tanta fatica e si è tentato più volte di manometterlo pesantemente.
Attuare la Costituzione, elaborata 70 anni or sono dalla Assemblea Costituente nei suoi principi e nei suoi valori fondamentali, per cambiare l’Italia è la parola d’ordine che proponiamo a tutti gli italiani in questa giornata solenne. Attuare la Costituzione per eliminare le disuguaglianze sociali, privilegiare il lavoro e la dignità della persona, per riportare la serietà, l’onestà e la correttezza nella politica e nel privato. Quanta è la distanza tra i valori affermati nella Carta costituzionale e la realtà di tutti i giorni nella vita delle persone e del paese. Pensiamo sopra tutto al lavoro e all’uguaglianza. Se la Costituzione venisse attuata completamente vi sarebbe per l’Italia una trasformazione radicale.
Quando nel 1945 è terminato il conflitto in Europa i resistenti di tutti i paesi dichiararono solennemente: “mai più guerre, mai più persecuzioni razziali”.
Si aprivano in quella primavera degli scenari ricchi di speranza nei singoli paesi e nel mondo. Sappiamo invece quanto è stato lungo e irto di ostacolo il cammino verso la tolleranza, la solidarietà, la giustizia sociale, sappiamo delle sfide che dobbiamo ancora vincere e che vanno condotte in un contesto internazionale che deve saper costruire una politica di sviluppo sostenibile, di equità e di pace.
Purtroppo sono state combattute da allora molte guerre che hanno insanguinato il mondo, si sono verificate molte violenze, molte sopraffazioni, molte violazione della dignità delle persone.
E nuove sfide ci incalzano a partire da una crisi economica gravissima che pare non finire mai e che è stata provocata da una finanza senza regole mentre avvertiamo che l’intera Europa è attraversata da rigurgiti reazionari e populisti, da movimenti xenofobi e razzisti, da episodi di intolleranza e di violenza, da nuovi muri che si intendono innalzare.
Non si chiude la piaga del terrorismo internazionale e dei suoi sanguinosi attentati mentre assistiamo a terribili guerre, a massacri, a nuovi esodi di dimensione biblica con la fuga dalla morte e dalla fame, assistiamo a tanto dolore e a tante ingiustizie, assistiamo ad un crescere spropositato delle diseguaglianze nel mondo.
Assistiamo preoccupati all’avventurismo di Trump e ai suoi ordini di atti di guerra fatti senza consultare il Congresso così come alle scelte sconsiderate della Corea del Nord.
Facciamo appello alle cittadine e ai cittadini affinché si mobilitino per diffondere il più possibile voci e iniziative di pace, anche in nome della nostra Costituzione che sempre ci ricorda che “‘Italia ripudia la guerra”.
E’ poi sotto i nostri occhi il caso poi della Turchia, con gli arresti dei magistrati, il blocco di gran parte della stampa libera.
Alcuni ci domandano con angoscia se stia ritornando il fascismo. Sappiamo che la storia non si ripete quasi mai nella stessa forma. Bisogna allora stare attenti a riconoscere i sintomi del fascismo per crearne gli antidoti.
Il grande movimento migratorio spaventa, preoccupa, crea tensioni. Invece di capire che è un fenomeno ormai insopprimibile, che va governato collettivamente e che va unito a un’idea di equilibrata convivenza, coloro che hanno tendenze autoritarie fanno leva sull’egoismo e sulle paure per costruire consenso.
In questo contesto il nostro paese manifesta altri aspetti negativi: è attraversato da una caduta senza precedenti dell’etica pubblica, dal manifestarsi quasi quotidiano di gravissimi fenomeni di corruzione. La conseguenza di ciò è una perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica che va superata con cambiamenti radicali di prassi, di costume, di modi di essere dei singoli e con una politica dotata di progettualità che, richiamandosi ai valori fondamentali della Resistenza, sia al servizio della collettività e del bene comune.
Purtroppo anche l’orizzonte antifascista non è ancora pienamente patrimonio dello Stato italiano in ogni sua espressione. Vogliamo cogliere l’occasione di oggi per seguitare a denunciare il clima pericoloso e preoccupante creatosi per le presenze sul territorio di formazioni politiche e movimenti che praticano e diffondono opinione e atteggiamenti che si richiamano esplicitamente ad esperienze naziste e fasciste. Chiediamo alle autorità competenti, a livello governativo, regionale e locale come alle forze dell’ordine di negare a tali formazioni le agibilità che permettano loro di organizzare presidi o manifestazioni. Ci rivolgiamo alle autorità nella loro veste di Pubblici Ufficiali che hanno giurato sulla Costituzione. Essa è intrinsecamente antifascista e, se l’articolo 54 della Carta fa obbligo ai cittadini di rispettare le leggi e la Carta stessa, coloro che rivestono cariche pubbliche hanno il dovere di attuarle con disciplina e con onore.
Chiediamo loro di essere coerentementi, di proibire manifestazioni che assumono un netto carattere fascista, che utilizzano pubblicamente simbologie e vessilli del passato regime e chiediamo loro di vigilare affinché non appaiano, in qualunque occasione, i simboli di epoche e di regimi che suonano di per se oltraggio alla Resistenza e ai valori costituzionali.
Alle forze culturali e ai mass-media chiediamo di non sottovalutare e di non banalizzare i nuovi fenomeni di destra che si stanno manifestando ai diversi livelli.
Le leggi garantiscono la libera espressione del pensiero e questo diritto di tutti i cittadini noi l’abbiamo sempre difeso e sempre lo difenderemo, facendone uno dei principali motivi della nostra stessa esistenza. Ma il fascismo non è un pensiero: è stato storicamente violenza criminale. Chiunque non lo abiuri, ma addirittura lo rivendichi, si pone fuori dalla Costituzione così che la richiesta dell’esercizio da parte loro dei diritti politici e di cittadinanza, sanciti dalla stessa Carta costituzionale, è irricevibile.
Ci sono crimini che moralmente non cadono mai in prescrizione e vi sono valori imperituri, in quanto fondanti la nostra civiltà: gli uni e gli altri non potranno essere mai confusi anche se sono trascorsi da allora molti anni.
Dobbiamo vigilare più che mai in ogni territorio affinchè il passato non ritorni mentre sentiamo pressante l’esigenza di affrontare e avviare a soluzione i tanti problemi che stanno dinnanzi a noi.
Sappiamo che senza memoria del proprio passato, senza coscienza del proprio presente un popolo non va da nessuna parte e rischia di ricadere nei drammi dai quali è faticosamente uscito. Bisogna invece ricordare, analizzare, capire, far sì che gli errori e gli orrori non si ripetano; anche per questo siamo qui oggi.
Abbiamo più che mai bisogno di idealità alte, di riferimenti e di valori forti, come li seppero costruire e testimoniare quelle persone che seppero scegliere tra il 1943 e il 1945, che seppero esprimere la loro rivolta morale con grande coraggio e con grande preveggenza, abbiamo bisogno di rinnovare le loro speranze. Anche i loro sogni. Tante donne e tanti uomini si sono impegnati e si sono battuti durante la Resistenza, hanno rischiato, hanno sofferto, hanno pagato per ridarci libertà, dignità e diritti. Facendo vivere la loro memoria e i loro valori dobbiamo continuare ad andare avanti e riproporre alle attuali e alle future generazioni la speranza di un mondo di pace.
Abbiamo bisogno di giovani, di donne e di uomini ancora capaci di indignarsi di fronte alle ingiustizie, alla carenza di democrazia, di libertà, di pace come seppero fare coloro che seppero scegliere di stare dalla parte giusta. Come seppero fare quei resistenti che pagarono le loro scelte coraggiose con il prezzo supremo della vita.
Davanti a loro inchiniamo le nostre bandiere.