Ricorre domani il secondo anniversario della morte di Mafalda Antonelli
valorosa partigiana che operò nelle zone di Cinigiano e Scansano.
Mafalda di famiglia antifascista ( il padre Cesare fu perseguitato e picchiato dai fascisti negli anni venti, lo zio Guglielmo confinato a Ponza ) venne conosciuta sotto tre nomi: Lenina alla nascita, Mafalda quando
le assurde leggi fasciste la costrinsero a cambiare nome, e “signorina Elena”
quando operò in qualità di infermiera presso la formazione partigiana del “Tenente
Gino”. Si distinse inoltre come staffetta di collegamento tra le formazioni partigiane
che operarono in quella zona ed il comando del raggruppamento della città di Siena
svolgendo la sua attività spesso insieme alla sorella Leonida.
Nel dopoguerra Mafalda emigrò in Svizzera dove è deceduta due anni or sono.
Vogliamo ricordarla così come l’ha descritta Nedo Bianchi nel bellissimo libro
“Mafalda e la siepe di ginestra”: coraggiosa combattente partigiana.
Grazie Mafalda.
Nello Bracalari, Presidente del Comitato Provinciale ANPI di Grosseto
Mafalda Antonelli: nata il 15 febbraio 1921, deceduta il 15 febbraio 2011, staffetta partigiana. Il padre, Cesare, l’aveva chiamata Lenina. Ma nel 1929, per decisione del Tribunale speciale, il nome di Lenina diventerà, d’ufficio, Mafalda. Cesare subirà le violenze fasciste, perderà il lavoro, così come suo fratello Guglielmo, che sconterà poi tre anni di confino a Ponza. All’indomani dell’8 settembre 1943, la ragazza, col nome di copertura di “Elena” sarà, insieme alla sorella Leonida (allora 16enne) e allo zio Guglielmo, protagonista attiva nell’organizzazione, a Montecucco, di una delle prime bande partigiane della Maremma. Sarà “Elena” a tenere i collegamenti con la Brigata “Lavagnini” dell’Amiata e col comando di Siena del “Raggruppamento Amiata”. Mafalda dovrà però, presto, cambiare zona, per sfuggire alla caccia che le danno i repubblichini. Si sposterà nel Mancianese (Grosseto) e si unirà al VII Raggruppamento bande, comandato da Luigi Canzanelli. Anche col “tenente Gino” continuerà nella sua preziosa attività di staffetta e di infermiera. Avrà la stima dei partigiani e delle famiglie contadine della zona, supererà ben due rastrellamenti e riuscirà a mettersi in salvo, anche dopo quello che vedrà cadere Canzanelli. Nella fuga “Elena” si perdette, nella notte fonda, nel fitto della boscaglia, subendo un trauma che l’avrebbe condizionata per oltre vent’anni. Alla Liberazione, in riconoscimento del suo impegno, a Mafalda fu consegnato il diploma firmato dal maresciallo H. G. Alexander, comandante supremo delle truppe alleate nel Mediterraneo. Ma per vivere dovette emigrare, per lavoro, con la famiglia in Svizzera.