l’intervento di Nello Bracalari

Piero Calamandrei in uno dei suoi memorabili discorsi rivolto ai giovani affermava:” se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate li, o giovani, col pensiero perché li e nata la nostra costituzione …”
Noi qui, oggi, vogliamo suscitare una memoria “attiva”, cioè quella che, accompagnando il ricordo alla storia, mira alla comprensione di quegli eventi così lontani nel tempo, cosa li ha determinati, quali effetti hanno avuto.
La resistenza non è stata una cosa astratta, ma una storia di uomini e di donne che hanno realmente combattuto, che si sono impegnati in prima persona, divenendo così veri patrioti. Alcuni con le armi in pugno, altri rifiutandosi di obbedire ai proclami di mobilitazione militare di un “governo” illegittimo, altri ancora sostenendo con ogni mezzo disponibile la lotta partigiana. Per tutti si trattò di un impegno gravoso, carico di rischi mortali.
Vogliamo ricordare alcuni episodi di quella lotta avvenuti nella nostra provincia. Già la sera dell’otto settembre 1943, giorno dell’armistizio con le forze alleate, un gruppo di antifascisti grossetani composto  dal noto imprenditore agricolo Tullio  Mazzoncini per il PCI,Valter Ceccherini per il partito d’azione, l’avvocato Pasquale De Leone per il PSI e Nello Tognetti per il PRI proponevano al Prefetto ed al comandante del distretto militare, l’occuoazione congiunta (militare e civile) dell’aeroporto di Grosseto. Tale proposta non fu accolta perché chi rappresentava l’autorità dello stato non era più abituato ad agire in mancanza di “disposizioni superiori”, ma fu il segnale che c’era chi era disposto a farlo. Mazzoncini, ad esempio, proseguì la sua attività di resistente fino a quando venne arrestato e deportato al campo di sterminio di Mauthausen, laddove perirono due suoi compagni di lotta (Scopetani e Bellucci).
Sempre nei giorni successivi all’armistizio, alcuni ufficiali di servizio a Grosseto i s.tenenti Luigi Canzanelli e Antonio Lucchini, dopo aver sabotato alcuni mezzi militari per renderli inservibili per i tedeschi, si portarono nella zona di Manciano, dove organizzarono e comandarono alcune formazioni partigiane. In seguito Luigi Canzanelli, che assunse il nome di battaglia di “Tenente Gino” morì in combattimento nella zona di Murci.
Accanto a questi patrioti combattenti bisogna ricordare coloro che, centinaia di giovani e di donne, che ogni giorno, con grave rischio, portavano il sostegno alimentare e logistico ai partigiani ed ai “renitenti”, per aiutarli a sfuggire alla cattura. Vorrei qui ricordare per tutte le figure di Norma Parenti, medaglia d’oro al valore militare, e quella di una giovane studentessa di Montemerano, Licia Bianchini. La prima si distinse per gli aiuti dati ai partigiani e l’ospitalità concessa ai fuggiaschi, fino a che non fu barbaramente seviziata e uccisa dai nazifascisti a Massa Marittima nel Giugno del 1944. Alla seconda, una ragazza di appena sedici anni, avvenne di essere arrestata e sottoposta a brutali interrogatori per l’accusa di avere aiutato il Tenente “Gino” ed il tenente Lucchini. A Licia Bianchini tuttora vivente permettetemi di inviare da qui il nostro grato ringraziamento ed il nostro commosso saluto.
Infine ricordiamo coloro che furono vittime inermi delle rappresaglie nazifasciste, come ad esempio gli 11 giovani martiri di Maiano Lavacchio, trucidati per la sola colpa di non aver risposto all’ordine di mobilitazione del governo repubblichino di Salò, o gli 83 minatori di Niccioleta, arrestati nelle loro case e barbaramente trucidati dai nazifascisti perché avevano “manifestato” la loro volontà di salvare la loro miniera dai possibili atti di sabotaggio da parte dei tedeschi in ritirata. Ho citato questo ultimo episodio non solo come il più eclatante della ferocia nazifascista nel grossetano, ma perché esso costituisce il più luminoso esempio di sacrificio per la difesa di un bene comune:”la miniera” sulla cui integrità si basava la sopravvivenza di un’intera comunità.
Ho voluto ricordare alcuni episodi, tra le centinaia che hanno caratterizzato la resistenza grossetana, per offrirli alla riflessione di tutti affinché ne sia tratto insegnamento per il presente e sia d’impulso all’apertura di una “nuova stagione della resistenza” della quale si avverte un urgente bisogno.
Oggi viviamo un momento in cui la crisi morde ed erode il nostro tessuto economico e sociale. Proprio in questi giorni le statistiche ci hanno rivelato che in Italia i 10 maggiori contribuenti posseggono una ricchezza cumulativa paragonabile a quella che si otterrebbe se si sommassero i redditi  di ben 3 milioni di famiglie più povere. (Non è dato sapere se questi dati comprendono anche gli evasori). Centinaia di migliaia di giovani sono disoccupati e rischiano di non trovare mai lavoro. I più fortunati, che comunque lavorano, spesso devono accontentarsi di un’occupazione precaria e di incerto futuro.
Davanti a questa drammatica situazione molti restano indignati davanti allo sperpero di denaro pubblico e la corruzione delle classi dirigenti, della politica e della pubblica amministrazione. Da questa indignazione si diffonde sempre di più un clima di sfiducia, che favorisce l’estendersi dell’antipolitica: termine che sta indicare una critica distruttiva e indiscriminata che complica i problemi senza portare alcuna soluzione.
Rievocando oggi la resistenza ci sembra di poter dire che questa sarebbe una strada senza sbocco. Al contrario ci sentiamo di rivolgersi verso tutti, ma in particolare verso le nuove generazioni, l’invito a superare indifferenza e i sentimenti di impotenza, e ad entrare invece nei partiti politici, nelle organizzazioni sociali per cambiarli, per portare negli stessi una ventata di rinnovamento e di civismo. La protesta indiscriminata e fine a se stessa non solo non serva a nulla, ma quando sfocia nella violenza può essere perfino pericolosa per la convivenza democratica. Al contrario c’è bisogno di un impegno corale, per una nuova solidarietà umana e per far si che i diritti sanciti nella nostra costituzione, tra cui in particolare il diritto al lavoro ed al sapere, siano garantiti a tutti i cittadini.
Quasi 70 fa il paese era allo sfascio, prostrato dalla guerra e sembrava senza prospettive. Fu con l’impegno unitario di tutta la resistenza, pur non privo di conflitti, che in breve tempo fu possibile portarlo alla sua rinascita civile e democratica.
Oggi siamo di fronte ad un quadro per certi versi analogo e se vogliamo trovare una equa soluzione ai nostri problemi dobbiamo ispirarci a quanto avvenne allora. La democrazia è partecipazione, sia per prendere decisioni sia per il controllo, e non ci sono scorciatoie meno impegnative. I popoli che rinunciano a partecipare o peggio affidano la soluzione di tutti i problemi a un solo uomo che agisca senza controllo sono destinati alla rovina. Siamo però fiduciosi che gli italiani non dimentichino la lezione impartita dalla storia e anche ancora una volta ce la possano fare onorando in tal modo quanti nella resistenza si impegnarono e si sacrificarono.